Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è stato attento nel definire il collocamento del 15% di Mps – realizzato dal Tesoro mercoledì sera – come “un’operazione di politica finanziaria e creditizia”. L’esito finanziario è interamente visibile: all’incasso per l’Erario di 1,1 miliardi alla voce privatizzazioni corrisponde l’adempimento largo dell’impegno assunto con le autorità Ue per l’alleggerimento sotto la soglia del 20% della partecipazione pubblica residua nel Monte, a 8 anni dal salvataggio. Non trascurabile anche l’effetto-lancio in vista del collocamento di una seconda tranche di Poste, che resta in agenda entro fine anno.
Il passaggio di politica creditizia emerge con altrettanta forza, anche se forse non ancora nei suoi possibili approdi finali. L’intervento di BancoBpm – che ha rilevato il 5% di Mps – è certamente l’aspetto portante: assieme all’acquisizione del 3% da parte di Anima, il gestore italiano di risparmio su cui lo stesso BancoBpm ha appena lanciato un’Opa amichevole. Il “sentiment” della Borsa – che ieri ha premiato sia BancoBpm che Mps – non ha fatto che confermare le aspettative di un’aggregazione più stretta, con la nascita di un vero e proprio “terzo polo” bancario nazionale a fianco di Intesa Sanpaolo e UniCredit.
Meno prevedibile era invece la discesa in campo dei gruppi Delfin e Caltagirone. Non del tutto sorprendente il secondo, già azionista di Rocca Salimbeni prima del dissesto, con Francesco Gaetano Caltagirone personalmente nel ruolo di vicepresidente. Certamente inedita l’operazione della cassaforte controllata dagli eredi di Leonardo Del Vecchio: di fatto alla loro prima mossa dopo la scomparsa del fondatore e non prima di una fase caratterizzata da qualche attrito fra i soci Delfin, attorno all’amministratore delegato Francesco Milleri. Entrambi i poli, comunque, entrano nel capitale di Siena da player bancassicurativi di primo piano.
Delfin è il primo azionista italiano di UniCredit (con una quota superiore al 2%), primo azionista di Mediobanca (alla soglia del 20%) e importante azionista di Generali (10%). Caltagirone, dal canto suo, non è più azionista di UniCredit, mentre lo è diventato di BancoBpm (1,3%) e di Anima (3,46%). Ma, soprattutto, detiene il 7,6% di Mediobanca e il 7% di Generali.
Lo scomparso patron di Essilor/Luxottica e il costruttore capitolino hanno costituito a lungo un asse, anche se di robustezza variabile. È però un fatto, negli ultimi mesi, che sia Delfin sia Caltagirone abbiano disertato le ultime assemblee sia in piazzetta Cuccia che a Trieste: segno inequivocabile di uno “sgradimento” continuato e condiviso verso i rispettivi management (quella della banca milanese e quello del Leone che resta al momento sotto il suo controllo). Da anni i due neo-soci di Mps premono senza successo alle porte di Mediobanca e di Generali per “spietrificarne” assetti e strategie, che restano quelli cementati ancora da Enrico Cuccia, scomparso da quasi un quarto di secolo. Decisivo è stato finora lo stop imposto dalle diverse authority verso due investitori finanziari non bancari, né assicurativi.
L’operazione Siena, oltre a confermare la sintonia fra i due player, segnala ora una concreta mano tesa verso il Governo Meloni e la Banca d’Italia (vigilante di banche e assicurazioni), in fondo alla stessa Bce, da sempre auspice di consolidamenti nel sistema bancario dell’euro. Il terzo polo ha dunque preso forma, nato per iniziativa e con soddisfazione di tutti gli attori, Borsa compresa. Mediobanca invece – a valle dell’assemblea dello scorso 28 ottobre – è stata punita dal mercato, insolitamente. Ma l’istituto – che ha un azionariato stabile ridotto all’11,4% (resta significativa la presenza di Mediolanum) – non evidenzia una strategia credibile per gli investitori a fianco del suo ruolo storico e statico di “padrone” delle Generali.
Forse con effetto percepito di freno anche per la compagnia triestina. Mentre – certamente – cresce l’insoddisfazione degli investitori in entrambe le società. E la speranza che entrino nel risiko.
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