Sono anni che Cappato si batte per un presunto diritto a morire quando e come si vuole, in nome di una libertà assoluta che di fatto, però, non esiste per nessuno di noi! Neppure per quanti, seguendo un’ideologia orientata in modo tipicamente eutanasico, subiscono il fascino di una libertà senza condizioni, mentre si consegnano all’unica decisione che non ammette reversibilità: quella della propria morte. Nessuno infatti fa esperienza della propria morte, e quindi nel momento in cui la loro opzione fondamentale diventa la morte, pongono fine anche alla loro libertà.
Ora, dopo i ripetuti insuccessi subiti nelle altre Regioni, il fronte di lotta di Cappato sta investendo la Regione Lombardia. C’è stato un flop vistoso, inequivocabile, ogni volta che una legge regionale ha preteso di inserire tra i propri compiti anche quello di accogliere il presunto diritto a morire. Eppure, almeno in teoria, la norma regionale proposta da Cappato, rispettava le indicazioni della Corte Costituzionale, formulate proprio a difesa dello stesso Cappato, accusato di esser venuto meno all’articolo 580 del codice penale sull’aiuto al suicidio. La Corte costituzionale, per depenalizzare, in determinate circostanze, l’articolo 580, ha posto cinque regole poste a protezione dei pazienti, per rispettarne la volontà e verificarne i requisiti. Ma più volte lo stesso Cappato è intervenuto per chiedere di alleggerire questi criteri e rendere più facile il morire. Una posizione – almeno finora – non condivisa a livello delle assemblee regionali, che l’hanno sistematicamente respinta. Esiste nella sensibilità popolare un rifiuto formale dell’eutanasia, mentre contestualmente c’è un profondo desiderio di ricevere cure palliative che permettano di controllare il dolore, anche quello cronico legato alla disabilità.
Ed è quanto sta accadendo in Regione Lombardia a pochi giorni dal voto sulla legge, patrocinata da Cappato, per regolamentare il fine vita. L’orientamento della maggioranza di centrodestra martedì 29 novembre chiederà di votare in Aula l’incompetenza costituzionale della Regione: un modo istituzionalmente corretto per dire no in anticipo a questa norma. Emblematica la risposta di Cappato: “Si stanno preparando a nascondersi dietro a un dito, un po’ alla don Abbondio”.
Ora è difficile dire chi si stia nascondendo dietro un dito, dopo i reiterati rifiuti che la norma ha collezionato in altre Regioni. Sembra proprio che non voglia vedere ciò che di fatto è evidente per molte altre persone: un no è un no e resta un no anche dopo mille diverse richieste. Ma la posizione di Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, è ancora più delicata quando afferma: “Esistono già delle regole che i medici lombardi stanno seguendo, noi chiediamo che ci siano delle regole vere di garanzia sia ai malati sia ai medici”.
Cappato pone, giustamente, una sostanziale differenza tra regole vere di autentica garanzia e regole che comunque sarebbero applicate in Lombardia senza essere né vere, né di garanzia. Il punto è come sia possibile che in Lombardia si applichino regole che tali non sono e che per di più non offrano nessuna garanzia ai malati. Se Cappato sa che questo accade, allora deve avere il coraggio di denunciare queste posizioni, che in modo evidente contraddicono la legge e non garantiscono i pazienti. C’è un evidente limite alla presunta libertà del malato, se e quando lo si orienta verso scelte che per lui non costituiscono alcuna garanzia. Ma l’ideologia sembra più forte del rispetto dovuto ad una legge “vera” e al sacrosanto rispetto per il malato.
Per di più Cappato fa appello al presidente della Regione, il leghista Attilio Fontana, perché “sia davvero lasciata libertà di coscienza ai consiglieri regionali come lui stesso aveva detto qualche settimana fa”. Ora, la libertà di coscienza è uno di quei diritti inviolabili dell’uomo non solo garantiti dalla legge naturale, ma anche formalmente riconosciuti in tutti i documenti, nazionali ed internazionali, ogni volta che si parla di diritti umani. Eppure Cappato facendo riferimento a questo diritto inviolabile, per cui ognuno di noi risponde dei propri atti prima di tutto alla propria coscienza, innesta un sottile – neppure tanto sottile! – tentativo di manipolazione delle intenzioni di voto: solo lasciando “liberi” di morire i pazienti, se ne rispetta la libertà, senza affatto riconoscere il diritto a vivere che hanno tutti coloro che giorno per giorno debbono lottare contro mille ostacoli per continuare a vivere, pur desiderandolo fortemente. Precisamente di questo si occupa la buona amministrazione del presidente Fontana, che attraverso politiche sociosanitarie che debbono fare i conti giorno per giorno con risorse insufficienti cerca soluzioni che garantiscano a chi vuol vivere il diritto a vivere il più dignitosamente possibile. Un Governo schierato dalla parte della vita, per cui non a caso, al presidio di protesta promosso da Cappato, erano presenti anche i capigruppo dell’opposizione di centrosinistra. Quella di Cappato, lungi dall’essere una battaglia di libertà, è una battaglia ideologica dai forti risvolti politici, in cui la morte marca la direzione da intraprendere.
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