Il caso di Gianluca Monni, che viene trattato oggi da Un giorno in pretura con la puntata Delitti in Barbagia, è strettamente legato alla scomparsa di Stefano Masala, anche se inizialmente le due vicende apparivano prive di legame. Le indagini hanno poi ricostruito che il 28enne di Nule è stato ucciso e la sua auto è stata utilizzata per recarsi dallo studente per ucciderlo e far ricadere la responsabilità dell’omicidio sul primo. La famiglia di Stefano Masala, a nove anni dall’accaduto, continua a sperare di ritrovare il suo corpo per dargli una degna sepoltura, ma nel maggio dell’anno scorso, comunque, è stata dichiarata la morte presunta dal tribunale di Nuoro.
L’aveva chiesta l’avvocato Caterina Zoroddu su mandato dei familiari di Stefano Masala e la richiesta è stata accolta dalla sezione collegiale civile, sulla base delle due condanne passate in giudicato (anche per la distruzione del cadavere) e in virtù del fatto che le ricerche del corpo non hanno dato alcun esito. Infatti, non sono mai emersi indizi sulla sua permanenza in vita né elementi per consentire il ritrovamento del corpo di Stefano Masala.
“STEFANO MASALA TRADITO E UCCISO”, LA RICOSTRUZIONE
“Non meritavi una morte così e neanche noi meritavamo di perderti così“, scriveva nel maggio scorso Francesco Dore sulla scomparsa del nipote Stefano Masala. A quelle parole struggenti si aggiunsero quelle della sorella per ricordare sui social questa terribile storia. “Quella sera è stato ingannato, tradito e ucciso“.
La donna ha raccontato che il fratello venne contattato telefonicamente da Paolo Enrico Pinna per dirgli che una ragazza voleva conoscerlo e quindi ci sarebbe uscito insieme. In realtà, al 17enne e al cugino Alberto Cubeddu serviva l’auto per andare a uccidere il giorno dopo Gianluca Monni, che mesi prima aveva molestato la fidanzata del minorenne.
L’auto del 29enne di Nule venne ritrovata bruciata nelle campagne di Pattada, ma il suo corpo non è stato mai trovato. La famiglia non si è mai data pace per questo: la madre è morta un anno dopo la scomparsa, il padre e la sorella, insieme al resto della famiglia, hanno sempre chiarito che si può parlare di giustizia solo con il ritrovamento dei resti, nonostante la condanna definitiva.
LA DISPERAZIONE DELLA FAMIGLIA
“Forse non lo troverò mai, ma continuerò a cercarlo ogni giorno, finché mi resterà da vivere“, così il papà di Stefano Masala nei mesi scorsi ai microfoni de La Nuova Sardegna. L’ipotesi è che sia stato bruciato e il cadavere sotterrato, ma è appunto solo un’ipotesi e nel frattempo la famiglia non riesce a darsi pace. “Continuare a cercarlo è la sola cosa che mi mantiene vivo“, aggiunse Marco Masala, che porta avanti la battaglia che combatteva con la moglie prima che morisse un anno dopo il delitto.
“Penso a lui tutte le notti e a mia moglie, annientata dal dolore“. La condanna definitiva non placa la sua amarezza per questa immane tragedia, anzi si disse consapevole che con i benefici di legge prima o poi i due condannati torneranno liberi, quindi sarà lui a restare in prigione con il suo fine pena mai. “La mia prigione è il dolore che porto dentro“, spiegò il padre di Stefano Masala, affermando di uscire solo per cercare il figlio.