Il ministro degli Esteri ucraino Andryi Sybiha lo ha definito uno dei più potenti attacchi sferrati dai russi. Zelensky ha parlato di 120 missili e 90 droni usati da Mosca. Gli obiettivi, ancora una volta, sono stati quelli classici degli ultimi mesi: le infrastrutture energetiche, danneggiate in modo talmente pesante in questo periodo da aver distrutto, secondo alcuni, fino al 90% delle capacità ucraine. Un blitz in grande stile che stride con le prime timide parole che preludono all’eventuale apertura di una trattativa di pace, circolate dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni USA. O forse vanno viste proprio in connessione con queste, svelando la tattica russa di ottenere le maggiori conquiste possibili prima di arrivare al negoziato. All’iniziativa russa, intanto, secondo quanto rivelato dal New Tork Times, ha risposto Biden, concedendo agli ucraini di usare missili a lungo raggio contro la Russia.
Il quadro della situazione, osserva Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, non è ancora ben definito. Lo dimostrano anche le parole di Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo della Chiesa greco-cattolica ucraina, secondo il quale non è ancora il momento della trattativa: l’Ucraina non vuole cedere i suoi territori e deve guardarsi dalla possibilità che venga sancita la sua neutralità. Per l’alto prelato, una condizione del genere non le garantirebbe di non essere di nuovo oggetto di attacchi in futuro.
Perché i russi hanno scatenato questo nuovo violento attacco sull’Ucraina proprio ora che si parla di pace?
La guerra ha le sue logiche e questo attacco all’inizio dell’inverno rientra nella logica della guerra, tanto più se si comincia a parlare di pace. I russi vogliono trattare da una posizione di forza. Se veramente la Russia sia intenzionata a negoziare è ancora da discutere. Da un lato le trattative si possono iniziare, visto che ora negli USA c’è Trump che è amico di Putin, dall’altro proprio questa situazione potrebbe indurre il capo del Cremlino a fingere di voler trattare, spingendo invece per l’attacco finale. Credo che abbia in mente più la vittoria che la pace, l’idea di passare alla storia come colui che ha riconquistato l’Ucraina. I commentatori russi pensano che Putin voglia conquistare non solo il Donbass.
Vorrebbe prendersi l’intero Paese?
Più o meno. Credo che sia la sua idea fin dall’inizio e che lui non vi abbia mai realmente rinunciato.
Secondo il New York Times, intanto, Biden ha autorizzato Kiev a usare missili a lungo raggio contro la Russia, almeno nella zona di Kursk. Come si spiega questa decisione, dopo tanti tentennamenti, proprio ora che il suo mandato sta finendo?
È una decisione che ci si aspettava; così l’Ucraina, se veramente si andrà a una trattativa, si sentirà un po’ più forte. È l’ultimo “regalo” di Biden non sapendo che cosa ci si può aspettare da Trump. Tutto rientra nella logica dell’offensiva invernale, nella dinamica della guerra: i russi hanno alzato il tiro e anche gli ucraini devono poter rispondere per le rime. Di trattative, se tutto va bene, se ne parlerà in primavera.
Per molti osservatori la Russia sembra aver reagito bene alla guerra: non ci sono stati i tracolli che certe cassandre occidentali immaginavano dal punto di vista economico e sociale. È così? Il Paese regge ancora l’urto?
Sì, la Russia regge, anche se i russi fanno fatica. C’è la crisi economica, l’aumento dei prezzi e delle tasse, la riconversione dell’economia per sostenere la guerra, ma c’è pure l’assuefazione all’idea del conflitto: nessuno protesta, anche perché tutte le opposizioni sono state soffocate. Il Paese è in bilico tra fermarsi e sferrare l’attacco decisivo. La popolazione vorrebbe che la guerra finisse, ma c’è l’orgoglio patriottico, ormai radicato, per cui bisogna vincere.
In questo contesto come si collocano le parole dell’arcivescovo Shevchuk? La Santa Sede spinge per verificare ogni ipotesi che porti alla pace, perché i greco-cattolici invece chiedono altro?
In Ucraina sentono che il momento è delicato: c’è la possibilità che l’elezione di Trump costringa l’Ucraina ad accettare un trattato di pace sfavorevole, cedendo i territori, sapendo che da parte russa questa potrebbe essere l’occasione per andare a fondo nella guerra. Shevchuk non ha fatto altro che riportare il modo di sentire della gente oggi in Ucraina.
Le sue parole tuttavia sembrano andare nella direzione opposta rispetto a quelle della diplomazia vaticana e del Papa stesso. Perché?
La Chiesa greco-cattolica ucraina è indipendente, si governa da sola e ha rapporti meno stretti con la Santa Sede rispetto a tutte le altre Chiese cattoliche, come accade nelle Chiese orientali. Shevchuk ha un rapporto personale con papa Francesco, cercano di non contrapporsi in modo evidente, ma l’arcivescovo rappresenta i sentimenti degli ucraini in modo diretto. Da una parte la Santa Sede appoggia le trattative di pace, dall’altra gli ucraini sanno che questi negoziati per loro possono essere un disastro.
Quelle di Shevchuk, quindi, non sono parole nuove?
Non sono nuove. D’altronde i russi accusano i greco-cattolici di essere stati quasi gli iniziatori di tutti i problemi, avendo appoggiato l’Euromaidan nel 2014, e di rappresentare l’esempio storico della tendenza dell’Ucraina a unirsi all’Occidente. I russi sono i primi nemici a livello religioso e gli ucraini lo sanno bene: gli zar e poi Stalin hanno costretto in diverse occasioni la Chiesa greco-cattolica a riunirsi a quella ortodossa.
Che peso ha nel Paese questa Chiesa?
Conta fra i 3 e i 5 milioni di fedeli rispetto ai 7-8 milioni degli ucraini nazionalisti e ai 10-12 milioni degli ucraini filorussi, dei quali però molti non sono appoggiati a Mosca. I greco-cattolici rappresentano una parte minoritaria ma significativa. Queste parole pesano perché Shevchuk è in sintonia con la Chiesa ucraina autocefala.
L’arcivescovo insomma sta dalla parte di Zelensky? Anche se il presidente ucraino ha detto che nel 2025 bisognerà arrivare alla pace?
Sì, bisogna arrivarci, ma senza cedere nulla. Zelensky sta cercando di portare Trump dalla sua parte.
Se Shevchuk esprime un sentimento comune nel Paese, gli ucraini che condizioni potranno accettare per la pace, ammesso che non vengano costretti comunque a chinare il capo vista la sconfitta militare che si sta delineando?
L’Ucraina potrà accettare di entrare nell’Unione Europea e, pur non potendo aderire alla NATO, chiederà garanzie dal punto di vista della difesa militare, senza dover cedere ulteriori territori.
I territori che i russi hanno conquistato sul terreno dovranno essere ceduti ufficialmente?
L’Ucraina non acconsentirà mai a lasciarli, ma dovrà accettare provvisoriamente di non poterli riconquistare. La definizione dei rapporti con la Russia sarà sempre di conflitto, mai di pace. Kiev non accetterà il riconoscimento internazionale della cessione della Crimea e del Donbass.
Ma è vero che, come dice Shevchuk, la neutralità dell’Ucraina non fornirebbe garanzie sufficienti a evitare nuovi attacchi in futuro?
Sì, a meno che non ci siano garanzie da parte della NATO, che potrebbe comunque proteggerla dall’esterno senza che l’Ucraina entri nell’Alleanza Atlantica. D’altra parte Putin non può accontentarsi di qualche porzione di territorio che era già in suo possesso prima dell’invasione.
(Paolo Rossetti)
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