Gli USA hanno un piano di pace per il Libano e lo avrebbero sottoposto al presidente del Parlamento, Nabih Berri, punto di riferimento del mondo sciita libanese. Ma quale sia la vera proposta americana non è ancora del tutto chiaro, a partire dalla possibilità o meno che Israele possa nuovamente agire nel territorio del Paese confinante nel caso Hezbollah dovesse rialzare la testa. In realtà, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali), a Israele interessa solo sfruttare al massimo militarmente il tempo a disposizione prima dell’insediamento di Trump, tenendo conto che il vero obiettivo del governo Netanyahu è di cambiare il regime in Iran, coinvolgendo in questo gli americani.
Trump, tuttavia, potrebbe non assecondare le mire del suo alleato: non ha nessuna voglia di impegnare troppi mezzi e uomini in questo scenario. Anzi, vuole dedicarsi principalmente a quello asiatico, soprattutto alla Cina. Intanto anche il Papa pone il tema del genocidio del popolo palestinese, chiedendosi se Israele ne sia responsabile. I dati di molti analisti, ONU compreso, fanno già propendere per una risposta affermativa.
Gli USA avrebbero un piano di pace per il Libano. Ma intanto Israele bombarda più di prima, anche a sud di Beirut. In che direzione sta andando questa parte della guerra?
Di questo piano di pace ho sentito tutto e il contrario di tutto, più di tanto non mi sento di commentarlo. Per quanto riguarda l’atteggiamento generale si può fare un parallelismo con l’Ucraina: gli USA, e non solo loro, parlano della necessità di trovare un compromesso, ma chi sta operando sul campo lo sta facendo per raggiungere gli scopi dell’operazione militare o per strappare le migliori condizioni possibili una volta al tavolo di pace. La Russia vuole il congelamento del conflitto e un riconoscimento de facto e non de iure delle acquisizioni territoriali, Israele, invece, vuole martellare il più possibile Libano e Hamas per neutralizzare Hezbollah e risolvere unilateralmente la questione palestinese, cercando di coinvolgere il più possibile gli USA per raggiungere il suo obiettivo principe: destituire il regime iraniano.
Il Libano in Medio Oriente sembra il fronte dove è più facilmente raggiungibile il cessate il fuoco. È così?
Sì. Ma il cessate il fuoco, appunto, non è l’obiettivo finale degli israeliani, che invece vogliono distruggere il cosiddetto asse del male.
Israele ha ucciso il capo della comunicazione di Hezbollah: una conferma che continua nell’opera di decapitazione del gruppo filoiraniano?
Continuerà fino a che non si ricreeranno condizioni di sicurezza per Israele e alla lunga fino a che non verrà disegnato un nuovo equilibrio mediorientale.
Ma sulla necessità di intervenire per un cambio di regime a Teheran Trump è d’accordo?
Sì, tuttavia bisogna verificare il livello dell’impegno americano. Trump le guerre ritenute non utili, Israele e Ucraina, le vuole chiudere e soprattutto non vuole mandare soldati americani o impiegare assetti militari in numero eccessivo. Per lui l’obiettivo principale è la competizione con la Cina.
Quando parliamo di piano di pace degli USA per il Libano di che Stati Uniti parliamo? È ancora Biden che tratta o è già Trump?
Qui non si tratta di Trump o non Trump, ma degli obiettivi di lungo periodo degli USA, che sono rivolti all’Asia e alla Cina. Con il nuovo presidente si va verso l’accelerazione di alcune dinamiche che comportano un impegno diverso in Medio Oriente e un disimpegno dall’Europa.
Israele adesso sta cercando di approfittare della situazione in attesa di Trump?
Continueranno a bombardare, anche in Libano. Prima che arrivi Trump ci vuole tempo e comunque lui è a favore della linea dura.
Secondo un’anticipazione de La Stampa, nel suo prossimo libro il Papa si chiede se il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi possa essere qualificato a livello internazionale come genocidio. Una domanda ormai non più eludibile?
Il Papa ha avuto un’intuizione molto puntuale quando ha parlato di terza guerra mondiale a pezzi. Per quanto riguarda la possibile accusa di genocidio a Israele, c’è stato qualcuno che ne ha parlato prima e meglio di lui: le Nazioni Unite. In un recentissimo rapporto che sarà presentato entro fine anno all’assemblea dimostrano che un numero elevato di politiche e di tattiche usate da Israele sul campo di battaglia sono assimilabili al genocidio.
Un rapporto che Israele ha cercato subito di sconfessare. Ma oggettivamente come si possono valutare le azioni contro i palestinesi di questo ultimo anno?
Non voglio usare la parola genocidio perché è molto polarizzante, carica di un senso emotivo che un analista non deve avere. Dico solo che osservando il comportamento politico e militare di Israele, al di là dei legittimi obiettivi che ha per ripristinare il suo spazio di sicurezza, vedo una tipologia dell’uso della forza che non rispetta i civili, che tende ad avere un numero troppo elevato di vittime tra loro, sia in Libano che a Gaza (nella Striscia i morti sono già quasi 44mila, nda). Per quanto riguarda la gestione degli aiuti umanitari a Gaza assistiamo a politiche che vanno davvero in una direzione inumana. Non si può far morire di fame un popolo, ridurlo nelle condizioni in cui vivono i palestinesi in quell’area. Ogni Paese ha il diritto di difendersi, ma nessuno ha il diritto di trattare con tanta brutalità la popolazione civile.
(Paolo Rossetti)
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