A meno di due settimane dalla vittoria alle elezioni presidenziali, quando però mancano ancora un paio di mesi all’effettivo insediamento alla Casa Bianca, la squadra che governerà gli Stati Uniti per i prossimi quattro anni è quasi al completo. Nessuno si attendeva un governo che piacesse alla stampa, la stessa che per mesi ha annunciato un testa a testa tra i due candidati, con Kamala Harris in vantaggio, quando i dati dicono che non c’è mai stata partita, ma il livore con cui certe nomine sono state annunciate, in Italia e negli USA, fa capire che si tratta, indubbiamente, di una squadra in discontinuità con le amministrazioni precedenti, e che forse vale la pena di darci un’occhiata.
La prima novità è l’istituzione del DOGE, Department Of Governement Efficency, che sarà guidato da Elon Musk e Vivek Ramaswamy. Questo nuovo dipartimento, guidato dai due miliardari che più hanno sostenuto la campagna elettorale di Trump, avrà funzioni prevalentemente consultive, e dovrà ideare e promuovere riforme tese ad efficientare il governo, ridurre sprechi e burocrazia, migliorare la relazione tra gli apparati federali ed i cittadini. Musk ha già pubblicato una lista di un centinaio di sprechi di diverse agenzie federali che punta a sanare, ma l’obiettivo che Musk si è dato è di proporre almeno 2mila miliardi di dollari di tagli alle spese federali. Considerato che il budget federale è di circa 6.750 miliardi, non è chiarissimo come ce la possa fare, però, come detto da Scott Besset, uno dei favoriti alla poltrona del Tesoro statunitense, “bisogna guardare a come [Musk] gestisce le sue aziende. Le gestisce piuttosto bene”.
La seconda novità, già annunciata in campagna elettorale, è la scelta di Robert F. Kennedy junior al ministero della Salute. Nipote di uno dei presidenti degli Stati Uniti più amati del Novecento, John Fitzgerald Kennedy, e figlio di Bob, candidato alla presidenza, morto assassinato come il fratello, è stato un altro dei sostenitori del presidente Trump in questa campagna elettorale. Presentatosi inizialmente come candidato indipendente, si tratta di una personalità eclettica e affascinante. Nonostante i suoi settant’anni è ancora in splendida forma, è un’ambientalista convinto e un’amante della natura e per questo è sempre piaciuto tra i giovani e nella sinistra americana. I giornali italiani titolano “Un No Vax ministro della salute” per le sue posizioni critiche sull’obbligo vaccinale durante la pandemia Covid-19, ma il suo slogan “Make America Healthy Again” e il suo programma per i prossimi quattro anni riprendono alcuni temi cari alla sinistra: la lotta ai cibi ultra-processati, eccessivamente zuccherini o grassi, la promozione di uno stile di vita sano (ricordate Michele Obama?), la riduzione dell’uso di farmaci, spesso prescritti oltre il necessario dai medici USA, a volte anche dietro pressioni delle grandi multinazionali farmaceutiche.
Tra le figure più rilevanti è da evidenziare la nomina di Marco Rubio a segretario di Stato (figura equiparabile al ministero degli Esteri); 53 anni, viene da una famiglia di umili origini (padre barista, madre addetta alle pulizie, entrambi esuli cubani) e frequenta il college solo grazie alla sua bravura come giocatore di football. Avvocato, cattolico praticante e padre di 4 figli, nel 2011 diventa senatore della Florida per il Partito repubblicano. Rubio è sempre stato un sostenitore di politiche intransigenti nei confronti della Cina, dalla quale è stato sanzionato per alcune esternazioni a sostegno dei manifestanti di Hong Kong, e, anche recentemente, dello Stato di Israele, avendo sottolineato che “Hamas è il colpevole di tutte le vittime civili di Gaza”. Il fatto di essere madrelingua spagnolo lo rende particolarmente adatto alla gestione dei rapporti con l’America latina, nonché un simbolo, per la comunità latino-americana, della possibilità di crescere nel Partito repubblicano fino a raggiungere i vertici del governo.
Altri nomi di rilievo della futura amministrazione saranno gli ex militari: Tulsi Gabbard, combattiva quarantunenne originaria delle isole Hawaii, già tenente colonnello con diverse esperienze in Medio Oriente, è stata membro del Congresso per il Partito democratico, prima di passare al Partito repubblicano stregata da Trump. Ricoprirà la carica di direttrice dell’intelligence. Il nuovo segretario della Difesa sarà invece Pete Hegseth, 44 anni, già membro della Guardia nazionale con anni di esperienza in Afganistan e Iraq, diventato noto al pubblico per il recente passato da giornalista per l’emittente conservatrice Fox News. Criticato dalla stampa liberal per alcuni tatuaggi (la croce di Gerusalemme sul pettorale destro ed il motto sul bicipite “Deus vult”, oltre ad alcune armi e ad altri motti militari) verrà affiancato da un consiglio di cinque generali nella gestione del più potente esercito del mondo.
Tra le figure chiave che stanno aiutando il presidente eletto in questa fase, compresa quella delle nomine e del delicato passaggio di consegne con la precedente amministrazione, spicca Susie Wiles, già coordinatrice della campagna elettorale di Trump, assumerà il ruolo di capo di gabinetto (chief of staff) della Casa Bianca, prima donna a ricoprire questo incarico.
Le nomine sopra descritte segnano un Trump diverso da otto anni fa: questa volta si è preparato alla vittoria e ha lavorato alla squadra ancor prima delle elezioni. Si trova di fronte ad una grande possibilità: per i prossimi due anni il Partito repubblicano avrà il controllo del Senato e della Camera e avrà una Corte suprema “amica” (tre dei nove giudici sono stati nominati dall’ex presidente, ora di nuovo alla Casa Bianca). Trump ha realmente la possibilità di impostare quel cambio di rotta nel governo federale che ha portato la maggioranza degli americani a preferire lui come candidato: ora occorre rimboccarsi le maniche. Il neopresidente dovrà riuscire ad efficientare i processi, alleggerire la macchina statale, rilanciare l’economia, liberare le istituzioni dall’ideologia woke, riposizionare l’America nel ruolo internazionale che le compete, proporre un piano di pace per l’Ucraina e tentare di rappacificare il Medio oriente, rilanciare le relazioni con il Sudamerica e affrontare la Cina.
Trump ora non può sbagliare, glielo chiede l’America.
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