La maggioranza vorrebbe che le pensioni godessero del silenzio assenso così da poter beneficiare di un importo più alto nel lungo periodo. La manovra prevederebbe di lasciare il TFR in un fondo pensionistico e complementare piuttosto che maturarlo come “indennità”.
Le pensioni complementari hanno registrato poche adesioni, e la maggioranza insiste nell’accantonare il trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti in fondi integrativi così da poter rendere più sostanziosa la futura pensione.
Pensioni e silenzio assenso: la proposta semestrale
Sulle pensioni e il fatidico silenzio assenso si pone in prima linea la leghista Tiziana Nisini, che chiede di inserire in manovra l’accantonamento del TFR in un fondo complementare già dal 1° aprile e fino al 30 settembre 2025.
Mentre direttamente dal partito Fratelli di Italia, Walter Rizzetto, reputa essenziale cominciare fin da subito, tanto da proporre di iniziare il semestre dal 1° gennaio 2025.
Il periodo di silenzio assenso che vorrebbe essere inserito in Manovra di Bilancio 2025 e dalla durata di sei mesi, prevede che ogni lavoratore dovrebbe dare il suo consenso esplicito nel lasciare il TFR in azienda oppure decidere se investirlo in fondi complementari.
In assenza di una decisione esplicita il fondo del trattamento di fine rapporto verrebbe autonomamente trasferito in un fondo complementare, intaccando inevitabilmente la futura liquidità. Una volta nel fondo non si può più far dietrofront (si tratta di una manovra irreversibile).
L’esperimento del 2007
La prima volta che il silenzio assenso fu testato era l’anno 2007. Allora le adesioni complessive coinvolsero meno del 30% dei lavoratori dipendenti, passando concretamente da 3 a 4,5 milioni di contribuenti.
L’idea di destinare il TFR ai fondi integrativi è aiutare soprattutto i giovani sempre più penalizzati dal sistema contributivo. Se un tempo la pensione ammontava all’80% del salario, oggi aspetterebbe circa il 50% o 60%.
Quali sono i migliori fondi in cui investono gli italiani?
In una recente analisi a cui è stata sottoposta Covip (l’Autorità di Vigilanza sui Fondi Pensione), è stato appurato che un italiano su tre (il 36,9%) gode di un fondo pensione integrativo, mentre un italiano su quattro (il 26,7%) ha versato i contributi in tutto il 2023.
Considerando l’investimento nel lungo termine, su 10 anni, la miglior performance è stata conseguita dai fondi pensione aperti azionari, il cui rendimento medio è stato stimato intorno al 4,5%.
A seguire si collocano le linee azionarie dei fondi negoziali di categoria con il rendimento medio del 4,4% e i Piani Individuali Pensionistici (Pip) con il 4,2%. Il concetto tuttavia è sempre lo stesso: maggiore è il rendimento più alti sono i rischi di poter registrare una “perdita”.
I dati storici non sono una garanzia, ma un indicatore medio di quali potrebbero essere le aspettative sulle pensioni integrative accantonate con il silenzio assenso.