Netanyahu e Gallant, se non si recheranno nei Paesi che hanno aderito alla Corte penale internazionale (CPI), non rischieranno l’arresto. Ma i mandati di cattura nei loro confronti peseranno politicamente. “Stanno spaccando l’Europa”, spiega Paola Caridi, saggista e presidente di Lettera 22, e comunque restituiscono all’opinione pubblica mondiale una narrazione della guerra a Gaza che non dimentica i crimini commessi da Hamas e IDF. Israele per ora si è ricompattata, ma non è detto che qualche voce non si alzi per rinfacciare a Netanyahu di aver messo in cattiva luce il Paese. Di fatto, intanto, c’è da aspettarsi che, nella Striscia come in Libano, Israele continui a bombardare. Anche le possibilità di una pace con Beirut sono molto meno concrete di quanto media e diplomazia internazionale ci facciano credere.
Il giorno dopo l’emissione dei mandati di arresto internazionali per Netanyahu e Gallant si ripetono i bombardamenti di Israele a Gaza e nel sud del Libano, come a Beirut. A livello di trattative è tutto fermo?
Il tentativo da parte dell’attuale amministrazione USA di trovare un accordo sul Libano prima del cambio della guardia alla Casa Bianca c’è. È ciò che più interessa agli Stati Uniti in questo quadrante tra Libano, Siria e Iran. Non è detto, però, che Israele si muova di concerto con gli americani. Anzi, finora sono stati gli USA a inseguire Israele. Le chance di riuscita sono poche.
Ha influito o no l’iniziativa della Corte penale internazionale?
La Corte ha fatto il suo dovere. Ho l’impressione che nei commenti di oggi, anche in Italia, non ci si renda conto che si tratta di un organismo internazionale, ratificato dai parlamenti. Attaccare il Tribunale è attaccare la legalità internazionale, il sistema di relazioni fra gli Stati. Non è possibile sentire accuse a una Corte nata a Roma e fondata sul lavoro di uno dei più grandi giuristi italiani, Antonio Cassese, sulla quale nessuno ha detto niente fino a che si è occupata di dittatori africani.
In Italia ci sono posizioni differenti anche nel governo: Matteo Salvini è pronto ad accogliere Netanyahu, il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello della Difesa Guido Crosetto non sono sulla stessa linea.
Tajani dice che ne discuterà con gli alleati, però siamo di fronte a un organismo il cui statuto è stato approvato a Roma, su cui hanno deciso gli organi dello Stato. Come ha detto Joseph Borrell, è obbligatorio fare quello che dicono i giudici internazionali. Mi ha fatto impressione, invece, Noemi Di Segni (presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ndr), che ha detto che l’Italia deve ridiscutere questi organismi.
Il Tribunale ha fatto una scelta politica?
Il Tribunale fa il suo corso. Ha già subito pressioni fortissime da quando la precedente procuratrice, Fatou Bensouda, disse che la Corte aveva giurisdizione sulla Palestina. Quando Karim Khan, il 20 maggio, ha chiesto i mandati di arresto contro Netanyahu, Gallant e contro Haniyeh, Sinwar e Deif di Hamas, le pressioni politiche sono state fortissime. La Corte ha continuato a fare il suo mestiere; è stata la politica internazionale a tentare pressioni indebite, con l’idea che se fossero stati emessi i mandati ci sarebbe stato un problema diplomatico e politico.
Che ripercussioni avranno i provvedimenti?
Il problema è che non si può più fare diplomazia e politica, perché chi è di fronte è un potenziale criminale di guerra. Ma questa non è responsabilità della CPI, bensì di chi ha commesso i crimini. È lo stesso problema che c’è con Putin. La decisione dei giudici viene considerata un’intromissione nella politica, ma l’organismo in questione si occupa proprio di questo: di definire i crimini commessi dagli individui.
Quali sono le conseguenze della decisione della CPI nello scenario mediorientale?
Cambia le carte in tavola. Finora una parte dell’Occidente, Germania e USA, ha sostenuto senza se e senza ma questo governo israeliano inviando armi. Il mandato di arresto nei confronti del premier e dell’ex ministro della Difesa pone un problema serio: sono persone che hanno ruoli nel governo, si può continuare a inviare armi? Germania e USA, secondo me, continueranno a farlo, ma questa situazione comunque pone un problema morale e politico. E soprattutto queste accuse, che erano pensiero comune in una parte dell’opinione pubblica, ora diventano corpo.
Un problema che riguarda soprattutto le democrazie occidentali?
Gli USA non hanno firmato lo statuto di Roma, non dovrebbero considerarlo, e invece vogliono incidere lo stesso sul Tribunale. Altra cosa è la UE. Borrell afferma che è obbligata a seguire la Corte là dove dice che se Netanyahu entra in un Paese che ha sottoscritto lo statuto di Roma deve essere arrestato. E questo pone un problema politico all’Unione Europea, in cui le diverse sensibilità nei confronti di Israele hanno già segnato una spaccatura: Francia e Irlanda hanno detto che lo arresterebbero, la Germania che dovrà esaminare la questione, ma l’Ungheria ha addirittura invitato Netanyahu. La decisione della CPI mostra che il re è nudo: la spaccatura che c’era prima ora è ancora più evidente.
Ma nella guerra cambia qualcosa? I mandati di arresto spingeranno Israele a intensificare le operazioni militari?
Il governo israeliano è autoreferenziale, ha sempre seguito la sua strategia. Quando gli USA hanno detto che Rafah era la linea rossa, sono entrati a Rafah. Israele non ha mai cambiato idea. I giudici fanno il loro mestiere, è Israele che bombarda. La realtà sul terreno, per chi visiona video e immagini che escono da Gaza, è di bombardamenti senza pietà sul nord. Supporre che ciò che ha fatto la CPI peggiori la situazione vuol dire non rendersi conto di quello che sta succedendo. I 44mila morti palestinesi dichiarati sono di sicuro inferiori al numero reale. I bombardamenti su Beirut sono stati molto pesanti prima dell’emissione dei mandati di arresto e probabilmente continueranno. Nessuno si sta fermando.
Tornando al Libano, quindi, neanche lì le speranze di pace sono così consistenti?
Tiro, una delle culle della civiltà mediterranea, viene bombardata come Beirut e lo fanno perché l’ingresso delle truppe di terra si è trovato di fronte la resistenza di Hezbollah, il cui nuovo capo, Naim Qassem, ha detto che si può raggiungere un accordo; ma credo che non ci sia lo spazio per la pace.
Israele, comunque, al suo interno, come ha reagito alla notizia dei mandati di arresto?
Il Paese si è ricompattato, a cominciare dal presidente dello Stato Isaac Herzog fino all’opposizione. C’è solo una piccola minoranza di persone, coscienza critica di Israele, che chiedono da anni che Israele prenda atto delle sue violazioni. Gli altri sono tutti schierati a difesa del governo.
L’iniziativa della CPI, quindi, non cambierà la situazione?
Non è vero che il mandato di arresto non conti. Nei Balcani, dall’accusa a Radovan Karadzic e Ratko Mladic per il massacro di Srebrenica agli accordi di Dayton sono passati meno di sei mesi. La decisione dei giudici poggia sul diritto internazionale umanitario, ma ci saranno risultati politici: quello che dice la Corte è quello che l’opinione pubblica del mondo ormai sa. Che in quel posto sono stati commessi dei crimini, prima da Hamas il 7 ottobre e poi da Israele a Gaza, in Cisgiordania e in Libano.
Israele andrà avanti a combattere come ha fatto finora?
Sì. A meno che dall’opposizione non esca qualche voce che proverà a recuperare spazio, pensando di mettere da parte Netanyahu, accusandolo di aver messo Israele in questa posizione. Bisogna vedere se ci saranno leader delle opposizioni capaci di smarcarsi e di dare una spallata a Netanyahu.
(Paolo Rossetti)
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