L’ex portiere Gianluigi Buffon racconta gli alti e bassi della carriera
Non solo titoli e grandi emozioni sul campo da calcio, Gianluigi Buffon ha dovuto compiere grandi parate anche fuori dal rettangolo verde. Parate difficili, che lo hanno costretto a tirare fuori il suo lato migliore. Specialmente nei periodi difficili, come quello legato alla depressione. In una intervista rilasciata al Corriere della sera l’ex portiere della Juventus parla della fase più buia della sua carriera, quando il morale era sotto i tacchi nonostante i risultati splendidi ottenuti in campo.
“Eravamo reduci da due scudetti di fila ma si spalancò davanti il vuoto. Cominciai a dormire male. Mi coricavo e mi prendeva l’ansia, pensando che non avrei chiuso occhio”, racconta a cuore aperto l’ex portiere della nazionale. “Quando ero in campo sentivo una pressione al petto, non riuscivo a respirare, pensai che non avrei mai voluto essere lì e non avrei mai potuto giocare la partita”, racconta ancora Buffon.
Gianluigi Buffon, dalla depressione al ‘boia chi molla’: “Non sapevo cosa stavo evocando, ma…”
Riconoscere il disagio è stato il primo passo per affrontarlo e sconfiggerlo, anche se Gigi si rifiutò di prende farmaci. “Ne avrei avuto bisogno ma avevo paura di diventare dipendente”, racconta l’ex calciatore. Nel percorso con la psicoterapeuta, capì di dover sviluppare altri interessi al di là del calcio e non se le fece ripetere due volte.
Tra gli altri momenti infelici della sua carriera, quella famosa maglietta con la scritta ‘Boia chi molla’ e il numero 88 che richiamava Hitler. “Non sapevo cosa stavo evocando, per me il significato era avere quattro palle. E non avevo la minima idea che ‘boia chi molla’ fosse un motto neofascista. Di certo non sono fascista né razzista. Sono un anarchico conservatore”, conclude il mitico Gianluigi.