C’è il problema Trump, che vuole ridurre l’impegno americano, ma anche un problema di obiettivi, di strategie, di missione da compiere. Il futuro della NATO non è per niente chiaro, anche se le sfide che deve affrontare sono tante: a partire da quella della guerra in Ucraina e, quindi, del confronto con la Russia, per finire con il Baltico e l’Artico. Nell’Alleanza, spiega Maurizio Boni, generale di Corpo d’Armata e opinionista di Analisi Difesa, ci sono spinte diverse: quella della Svezia e della Finlandia, appena entrate, che temono il confronto con Mosca; quella della Polonia e dei Paesi Baltici, che vorrebbero una resa dei conti con Putin; e quella di Paesi come l’Italia, che chiedono più attenzione per il Mediterraneo. Senza contare che, invece, gli USA di Trump probabilmente daranno sempre più attenzione al Pacifico.
Il nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, è stato in visita da Trump a Mar-a-Lago. Come arriva l’Alleanza ad affrontare la sua seconda presidenza?
Sicuramente ci sono differenze di vedute nell’Alleanza, se non altro perché alcuni Paesi stanno prendendo atto che occorre arrivare a negoziare la fine del conflitto in Ucraina, prima fra tutte la Germania. Si sono evidenziate anche in relazione alle autorizzazioni a colpire la Russia in profondità: USA e UK sono state protagoniste di una fuga in avanti, non so fino a che punto consultando gli alleati. Non sono decisioni prese all’unanimità, ma a scapito anche di altri Paesi: se Putin può colpire basi europee che ospitano soldati americani o britannici, ci sono anche altre nazioni che rischiano.
Insomma, nell’Alleanza non c’è affatto consenso sulla guerra a oltranza in Ucraina?
Non solo non c’è consenso. Mi ha sorpreso il fatto che nessun Paese alleato abbia preso le distanze da questa escalation, che ha portato a colpire a Kursk e in altre località. A prescindere dal missile ipersonico, ci sono stati attacchi massicci da parte dei russi, eppure c’è questo silenzio ambiguo e anche ipocrita. Mi ha sorpreso pure il plauso di Macron all’iniziativa di Biden di togliere le restrizioni per l’uso delle armi a lungo raggio. Il resto dei Paesi si segnala solo per un silenzio imbarazzante.
C’è qualche elemento che ci permette di capire dove sta andando la NATO?
Rutte è andato a parlare con Trump per allineare il pensiero e il linguaggio all’orientamento della prossima amministrazione. A Trump la NATO non è mai piaciuta: gli interessa l’aspetto economico delle cose, non ha una visione strategica. Bisogna vedere cosa gli diranno i suoi consiglieri. Se veramente farà pulizia dei neoconservatori, bisognerà vedere chi opererà al loro posto. In passato ha minacciato di lasciare la NATO e ha incoraggiato Putin ad attaccare i Paesi che spendono meno del 2% per la difesa.
Ma c’è ancora la possibilità che gli USA lascino l’Alleanza?
Nel 2024, tenendo conto che Trump voleva andarsene, è stata promulgata una legge secondo la quale occorrono i due terzi del Senato per decidere di uscire dalla NATO. Trump, dicono gli esperti legali, potrebbe invocare l’autorità presidenziale in tema di politica estera per bypassare il Congresso, quella invocata da Biden per autorizzare gli aiuti all’Ucraina. Nel caso della NATO, però, ci sarebbe un conflitto istituzionale tra presidente e parlamento. Sarebbe la prima volta.
Quale potrebbe essere allora il futuro della NATO?
Non è questione solo di oggi. Ora la situazione è più drammatica perché c’è un conflitto in corso, nel quale si è parlato di coinvolgere le truppe dell’Alleanza. Ma nella storia il tema del futuro della NATO è stato posto più volte. E non è vero, come dice qualcuno, che la Guerra fredda aveva compattato la NATO. Ci sono almeno tre crisi che si sono verificate proprio in quel periodo: la crisi di Suez nel 1956, l’abbandono da parte della Francia della struttura di comando nel 1966 e l’attacco unilaterale degli USA alla Libia nel 1986. In questi eventi l’Alleanza era stata data per spacciata.
Il dibattito sul futuro è continuato anche dopo la caduta del Muro di Berlino?
Con la dissoluzione dell’URSS ci si è posto il problema della missione della NATO e subito sono cominciati i dibattiti sulla visione continentale dell’Alleanza: francesi, tedeschi e belgi la volevano sempre vincolata alla difesa dell’Europa. USA e Gran Bretagna, invece, iniziavano a sviluppare la visione della NATO globale che contraddistingue l’Alleanza oggi. Anche dopo le Torri Gemelle, quando è stato invocato l’articolo 5, gli americani hanno rifiutato l’aiuto degli alleati perché volevano fare da soli.
Se l’uscita dalla NATO degli USA pare scongiurata grazie alla legge che impone una procedura che la scoraggia, cosa dobbiamo aspettarci allora da Trump?
Potrebbe affrontare il Congresso per uscire dall’Alleanza, ma sarebbe un’iniziativa dalle conseguenze molto serie. Oppure decidere per un graduale disimpegno riguardo alle forniture e alle truppe americane. Il trasporto strategico è in mano agli USA: tutto quello che può essere trasportato e schierato sul campo di battaglia per far fronte alle emergenze dipende da loro. Se riducessero il loro impegno in Europa, ci sarebbero ripercussioni enormi.
Ma la crisi che sta vivendo l’Alleanza è strutturale o no?
Bisognerà vedere quanto il futuro della sicurezza dell’Europa sarà nelle mani della NATO, visto che gli USA hanno indicato come prioritaria la direzione dell’Indopacifico. La minaccia russa non è sufficiente a mantenere la coesione. E poi, per noi Paesi del Mediterraneo, è difficile continuare con questa prospettiva.
Trump ha sempre chiesto che gli altri Paesi aderenti spendano di più. Alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno detto che bisognerà spendere anche più del 2% del PIL fissato come tetto minimo. Ci costringerà ad aumentare la spesa militare?
Trump ha sempre detto che il 2% era il minimo, ma che bisognava spendere molto di più. Un discorso in termini commerciali, come quello che ha fatto a Taiwan: “Volete il supporto degli USA? Dovete pagare”. L’aiuto USA è una sorta di assicurazione e, per essere assicurati, bisogna pagare. Non è certo un approccio da grande statista. Ci sono Paesi europei che hanno superato il 2% di spesa, noi lo sfioreremo tra il 2026 e il 2027. Giorgetti ha detto che, per il momento, l’Italia non è in grado di spendere così tanto, potrebbe andarci vicino nei prossimi 2-3 anni.
Insomma, un approccio commerciale anche in questo campo?
Un Paese che ha capito molto bene questo discorso è la Polonia: ha chiesto sempre la presenza di soldati USA, dichiarandosi disponibile a pagare qualunque tipo di spesa. E infatti nelle loro basi ci sono 10mila soldati USA: è il modello che piace a Trump, un modello commerciale.
Se si ragiona solo in questi termini e non strategicamente, si rischia però un indebolimento a livello politico?
Trump ha messo in discussione anche l’articolo 5, secondo il quale un Paese attaccato deve essere aiutato dagli altri, sostenendo che gli Stati Uniti non andranno in soccorso di un Paese attaccato dalla Russia se non spende almeno il 2% del PIL per la difesa. Un’affermazione devastante. Ci sono Paesi ammessi alla NATO per questioni politiche, penso per esempio alla Macedonia del Nord e al Montenegro.
Ma quali sono i fronti su cui dovremo essere più impegnati? Il Baltico, per esempio?
L’Artico, l’asse strategico settentrionale, che sarà teatro di un confronto ibrido con una componente di minaccia militare comunque elevata. Svezia e Finlandia, che sono entrate per motivi di opportunità legati alla Russia, vorranno una NATO vincolata alla loro sicurezza. Noi guardiamo al Mediterraneo, nel Nord Europa all’Artico, chi confina con la Russia chiederà attenzione per quello. Spinte contrastanti che arrivano da Paesi assertivi, che hanno risorse e sono politicamente stabili.
Il futuro immediato della NATO, allora, qual è?
Farà fatica a definire la sua missione perché ci sono dinamiche diverse, dove chi urla più forte prevale. Il problema non è solamente Trump.
(Paolo Rossetti)
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