Tredici giornate di Serie A sono divenute storia. A Verona si è vista una grande Inter che, pur infarcita di seconde linee, dopo mezz’ora aveva già rifilato quattro reti all’Hellas, per poi arrivare a cinque a fine primo tempo con assist del Tucu a Bisteccone. Certo, la difesa veronese è parsa schierata ad mentula canis. I bauscia hanno finalmente potuto godere uno spettacolare Correa, autore di due pennellate con le quali ha colpito la traversa, fautore della splendida azione che lo ha portato a segnare la prima rete e di un assist da laurea in calcio per la seconda rete, a Thuram. Poi è arrivato anche l’assist sopracitato. La sfiga di Inzaghi, rimasto senza la dorsale Acerbi, Çalha, Lautaro, è stata mitigata dalla resurrezione di Correa e dalla capacità di Asllani di non far rimpiangere il Çalha. Il Verona è parso una squadra rassegnata, l’avversario giusto per un allenamento in vista della Champions. Nel secondo tempo i veneti sono stati ben rintanati per non prendere una batosta da record, e i nerazzurri hanno giocato al torello senza forzare.
Non certo all’altezza delle attese lo scontro del giorno: casciavit vs gobbi. Le due squadre avevano paura di perdere, per cui miravano più a chiudere le possibilità di passaggio all’avversaria che non ad attaccare. Ne è nato un primo tempo da rimborso biglietto. Un po’ più viva la ripresa per merito del Milan, ma i continui errori dei protagonisti non hanno permesso spettacolarità alla gara. I bianconeri, senza un centravanti di ruolo, hanno rispettato nel gioco le teorie mottiane, ma i calciatori non erano quelli giusti. I rossoneri, si sa, vivono delle sgommate di Leão e delle intuizioni di Pulisic; stavolta non era giornata. Per vincere ci voleva una prodezza o fondoschiena, ma non sono arrivati, tanto che i due portieri avrebbero potuto portarsi in campo una seggiola. Un pareggio giusto fra due squadre che, spero, non abbiano forzato per la vicinanza delle gare di Champions: non possono essere così allineate verso il basso.
Di grande sacrificio la gara della Maggica a Napoli. I ciucci sono partiti arrembanti, creando grossi problemi sulle fasce, in particolare con Politano che, per fortuna romana, ha solo costretto la difesa avversaria a inutili calci d’angolo. Nella Roma si è vista la mano del marpione Ranieri, che due settimane fa mi ero esposto a indicare come il miglior allenatore per i giallorossi: difesa bloccata, uomini di lotta a centrocampo e, per l’attacco, “se deve da spera’”. D’altra parte, si deve avere l’umiltà di capire che, se l’avversario è più forte, va lasciato giocare, cercando di stringere le marcature, tagliare le linee di rifornimento agli attaccanti e stare pronti, se commette un errore, a punirlo. Però può sempre capitare che la più forte la sblocchi. Così è avvenuto al Maradona, dove, a inizio ripresa, Lukaku ha buttato in porta un passaggio di un incontenibile Di Lorenzo. La Roma ha avuto subito, con Baldanzi, la possibilità del pareggio, ma il giallorosso ha spedito alle stelle un rigore in movimento. Poi ha colpito una traversa clamorosa: obiettivamente un po’ sfigata.
Grande assalto finale giallorosso, che però la difesa campana ha contenuto, seppur con grande difficoltà. Tentativo estremo di Ranieri con l’ingresso nel finale anche di Dybala, romani a trazione totalmente anteriore. Niente da fare: il Napoli continua ad essere la lepre del campionato.
In questo angolino si è dato spazio alle squadre che partivano favorite per lo scudetto. Però ora c’è una nuova pretendente che, dopo averne prese quattro a San Siro lato Inter, si è concentrata, ha scalato la classifica e ora si trova affiancata ai nerazzurri per eccellenza. È la Dea che, a Parma, ha strapazzato i locali e, a differenza di Fiorentina e Lazio, che non vedo dotate del necessario parco giocatori, lotterà fino all’ultimo per lo scudetto.