C’era da aspettarselo, non c’era alternativa: ieri la Corte di assise di Milano ha condannato all’ergastolo Alessandro Impagnatiello per l’omicidio di Giulia Tramontano e la soppressione del bimbo che la ragazza portava in grembo. I giudici hanno escluso le attenuanti richieste dalla difesa e hanno riconosciuto le aggravanti della premeditazione, della crudeltà e del rapporto di convivenza.
Nelle stesse ore in cui veniva emessa la sentenza milanese, il Pm di Venezia chiedeva alla locale Corte di assise di condannare Filippo Turetta alla stessa pena per l’omicidio di un’altra giovane, Giulia Cecchettin. Difficile pensare che il 3 dicembre, giorno fissato per la lettura della sentenza, la richiesta della pubblica accusa possa non essere accolta.
Due processi con molti elementi in comune: reati gravissimi (uccisione di due giovani donne per mano dei loro compagni), grande risonanza sui media e ore e ore di talk-show con decine di commentatori che già avevano pronunciato la loro sentenza. Singolare poi un’altra particolarità: la concomitanza di due processi per femminicidio fissati e celebrati lo stesso giorno in cui si celebrava in tutto il mondo, ed anche in tribunale, la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Una coincidenza forse casuale, ma inopportuna se si pensa che per i due imputati, da più parti – singoli cittadini colpiti dall’efferatezza del delitto, commentatori televisivi autoproclamatisi giudici supremi, politici di rango – si invocavano “condanne esemplari”, pene senza sconti.
Il nostro codice penale però prevede solo condanne giuste. Come ha scritto il filosofo del diritto Mario Cattaneo, “la pena esemplare non appartiene alla civiltà del diritto”.
È apparso inoltre stonato l’applauso, ancorché timido, che ha accompagnato oggi la lettura della sentenza di condanna nell’aula milanese gremita di pubblico (soprattutto curiosi). Come ha ben ricordato anche il padre di Giulia, nessuno ha vinto. Tutti hanno perso: reo, vittima, i genitori dell’uno e dell’altra. Chi ha perso il proprio caro, nonostante la condanna comunque non lo riavrà più. Dall’altra parte l’ergastolo inflitto al reo sarà pena perpetua non solo per lui, ma anche per i suoi genitori. L’ergastolo, appunto, ormai abolito in molti Paesi, definito da Papa Francesco “pena di morte nascosta (…) non una soluzione ai problemi, ma un problema da risolvere”.
La speranza è che nel tempo si aprano spiragli di riconciliazione favoriti dai percorsi di giustizia riparativa su cui in questi tempi tanto hanno investito i nostri legislatori. Ma occorre tempo, occorre che prima le coscienze si predispongano a operare scelte che oggi sembrano impossibili.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.