Sergey Radchenko, nell’introduzione alla sua ultima opera To Run the World. The Kremlin’s Cold War Bid for Global Power (Cambridge University Press, 2024), afferma che la logica della lotta hegeliana tra la superpotenza diventata il sé e l’altro, dove l’altro si sottomette sotto minaccia di morte e diventa così schiavo, è stata di fatto infranta. Le superpotenze nucleari dovrebbero continuare a esistere finché non decadono internamente e crollano (come sicuramente accadde alla fine all’Unione Sovietica). Ma un conflitto diretto tra di esse divenne del tutto impensabile, portando logicamente alla possibilità di una Guerra fredda senza fine. Una Guerra fredda seguita da un’altra Guerra fredda e così via. In retrospettiva, sembra ingenuo che non abbiamo percepito questa realtà fondamentale dopo il 1989.
Il richiamo qui è all’incapacità di leggere la storia senza gli occhialini dell’ideologia: a quella del secolo breve ora si sovrappone quella della pace perpetua e dell’amore universale per cui occorre combattere e morire condannando gli infedeli.
Da questa malattia da “Montagna incantata” si sottrae l’opera di Sergio Vento: Il XX secolo non è finito. Transizioni e ambiguità (Prefazione di Mario Caligiuri, Rubettino, Soveria Mannelli, 2024). Essa pone al suo centro una lettura realista del sistema delle relazioni internazionali. Ed è per questo che il libro assume un significato paradigmatico in un contesto di trasformazione profonda della storia mondiale, quale quello in cui stiamo vivendo in questi giorni.
L’inizio del libro ha un tono classico: “Le relazioni internazionali – si afferma – ruotano attorno a due possibili scenari, con una serie di varianti e correttivi: la balance of power e la power politics” (p. 17) e tutto l’andamento del testo, quando non affronta i temi della storia personale dell’Autore nel suo coté diplomatico e istituzionale, ha questo tono di saggio illuministico che mi ha fatto venire alla mente un libro della mia giovinezza e che ho tanto amato, il Tamborra di Cavour e i Balcani. Con Delle speranze d’Italia di Cesare Balbo, giovane studioso torinese, mi sono formato alle letture all’ombra del Museo del Risorgimento di quella piazza Carignano in una Torino che ancora venerava il suo passato sabaudo.
E non a caso le pagine che l’Autore dedica alle guerre balcaniche sono tra le più felici che mi sia capitato di leggere. Riflettere su di esse dà senso a molti libri scritti su quelle terribili vicende che non giungono mai a trarne quegli insegnamenti che sono il nutrimento di una diplomazia sempre educata alla cultura e allo studio delle relazioni internazionali. Oggi esso pare ormai irrimediabilmente perso nelle nebbie della geopolitica. Una nebbia fitta che consente agli incolti, a coloro che non conoscono neppure l’abc dello studio delle politiche di potenza e di quelle di equilibrio, di dir la loro, con le conseguenze disastrose che son dinanzi agli occhi di tutti noi: la fiera dei dilettanti e dei presuntuosi.
Sergio Vento ci riporta in un mondo in cui i Ministri erano degli studiosi (per tutti valga il ricordo di quell’amico indimenticabile che fu Gianni De Michelis, il quale immediatamente intuì la gravità dello sfregio teutonico a quella che avrebbe potuto essere una politica di potenza europea creatrice di un assetto balcanico ben diverso dall’attuale).
Il libro, leggendo le pagine dedicate alle esperienze dell’Autore e alla loro rilevanza diplomatica in sedi sempre importanti e con compiti delicatissimi e cruciali per la nostra patria, offre la possibilità di accedere alla conoscenza della parte migliore della nostra tradizione diplomatica. Tradizione che non è seconda a nessuno, avendo fuso in sé le diplomazie di quelle grandi aggregazioni di potenza che hanno fatto l’Italia – la diplomazia dell’antico Regno di Sicilia e del Regno di Sardegna – e poi l’esperienza delle istituzioni internazionali di un mondo dominato dall’anglosfera. Si era e si è forti di una tradizione ricca di quella partecipazione alle vicende internazionali che hanno “fatto” l’Italia. E, infatti, secondo la visione ch’era di Cesare Balbo e poi di Cavour, l’Italia si erse a nazione limitando, sin dalle guerre balcaniche ottocentesche, via via il ruolo dell’Austria nella nostra penisola (l’inorientamento dell’Impero Austro-ungarico che fu la forza dell’inveramento delle nazioni a esso in varie forme e modo soggette), per poi culminare con le guerre risorgimentali e post-risorgimentali in un mondo di relazioni internazionali che, via via, da dinastico si fece quello che è oggi: un mondo di Stati.
Ma di Stati il cui potere è sempre più dimidiato e indebolito dalle “burocrazie celesti”, che in Europa hanno assunto la veste delle pseudo-tecnocrazie dell’Ue. Le conseguenze tragiche sono dinanzi a noi con inusitata chiarezza in queste fatidiche settimane.
Solo gli Usa, la Cina e la Russia, unitamente agli Stati in via di ascesa verso un protagonismo internazionale tipico della scalata ai ghiacciai del potere mondiale a cui, in varie aeree del mondo assistiamo, a partire dalla Cina (che ne ha solo il potenziale demografico, ma che potenziale…) per continuare, su scala assai minore, con il Brasile, la Turchia e i rentier states petroliferi del Golfo, solo gli Usa, la Russia e la Cina – dicevo – a cui dopo il Brexit si è aggiunto l’indomito Regno Unito, sfuggono fortunatamente al potere di veto e di intromissione defatigante di codeste “burocrazie celesti”, ridisegnando continuamente il volto del potere mondiale.
Per comprenderne gli arcani e amarne le vicende occorre leggere e rileggere il libro dell’Ambasciatore Sergio Vento.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.