Mi sono soffermato per un attimo, nella mia nostalgia di settantenne, a ripensare agli anni 70 che io ho intensamente vissuto in termini politici e di impegno sociale. Come tutti, del resto, in quel periodo. Sia di destra che di sinistra, che di centro. Ma ovviamente, adesso, con l’occhio dello statistico attento agli aspetti quantitativi nei fenomeni sociali. E mi sono chiesto, in particolare, quale relazione ci fosse con la situazione attuale della scuola e dell’università. Realtà alle quali sono stato sempre legato, dal punto di vista dell’analisi scientifica, essendomi occupato fin dai primi anni 90 di problemi di efficienza del sistema universitario, successivamente di misura degli apprendimenti/conoscenze/competenze e di politiche utili per accrescerli al massimo, nel maggior numero possibile di studenti, in relazione alle loro capacità naturali. Vero e unico sistema per rimuovere le barriere sociali e sviluppare un pianeta che solo un cervello come quello di Elon Musk è riuscito a prefigurare.
Nel ’68 il 18 politico aveva un senso ed un significato sociale tutto sommato nobile: a quei tempi l’accesso all’università era riservato di fatto ai figli della borghesia. Giovani capi di Lotta Continua e Potere Operaio, che si forgiavano in licei classici come il “Dante” di Firenze, e che poi passando all’università lottavano contro gli ostacoli nell’accesso ai più alti gradi di istruzione da parte dei figli della classe operaia e impiegatizia.
Purtroppo questi figli “illuminati” della borghesia non capivano che per favorire i giovani delle classi sociali più basse era necessario mantenere i livelli di selezione in base al merito a cui si era ispirata da sempre la scuola italiana, dalle elementari all’università. Fino agli anni 70 la scuola italiana, in tutti i gradi di istruzione, era strutturata dal punto di vista dell’assegnazione dei voti, secondo il principio di commisurali in base al merito effettivo, alle conoscenze e alle capacità mostrate dallo studente. È certamente vero che i figli della borghesia queste capacità, conoscenze e merito le avevano più sviluppate per ovvi motivi, legati ai maggiori stimoli che ricevevano negli ambienti familiari. E quindi ottenevano voti più alti. Ma è anche vero che ci potevano essere casi di ragazzi della classe operaia e impiegatizia che, per ragioni genetiche o per aver frequentato buone scuole primarie gestite dalla Chiesa (cfr. don Milani, don Facibeni), potevano avere un QI più alto e/o l’opportunità di colmare il gap dello svantaggio sociale nei confronti dei compagni figli dell’alta borghesia. Il 18 politico non faceva altro che non riconoscere questo merito, facendo ovviamente un danno ai figli della classe operaia.
Il nesso con ciò che sta accadendo oggi sarà chiaro più avanti.
Ma nel caso del 18 politico è evidente che ogni misura di correlazione che si volesse stabilire tra voto e qualsiasi altro risultato educativo, educativo o sociale sarebbe quasi zero o molto bassa. Questo, in pratica, significa che l’istituzione scolastica non fornisce nessuna informazione alla società – e ai successivi gradi di istruzione – circa il valore intrinseco del valutato, costringendo ad utilizzare per la selezione, ammissione, assunzione altri tipi di criteri e/o a sostenere ulteriori costi di valutazione. Abdicando ad una delle sue funzioni fondamentali secondo i teorici dell’economia dell’istruzione.
Ovviamente, il 18 politico, come il 30 politico del resto (vedi il fioccare di voti alti alla maturità nei licei in alcune Regioni del Paese, ma anche da parte di professori che non vogliono essere portati in tribunale da genitori esagitati) sono una manna per un Paese dove prosperano favoritismo, nepotismo e corruzione, in barba ai concorsi pubblici.
Cosa comporta la riduzione di correlazione tra voti e reali capacità degli studenti?
Ho chiesto aiuto a ChatGPT. Ecco la risposta.
La riduzione della correlazione tra voti e reali capacità degli studenti ha diverse conseguenze negative sia per gli individui che per la società nel suo complesso. Quando i voti non riflettono accuratamente le competenze e le abilità degli studenti, il sistema educativo e il mercato del lavoro diventano meno efficienti. Ecco le principali implicazioni:
1. Difficoltà nella selezione della forza lavoro
La mancanza di un segnale affidabile rappresentato dai voti rende difficile per i datori di lavoro identificare i candidati con le competenze effettive. Le implicazioni includono:
– Assunzioni errate: i datori di lavoro potrebbero assumere persone che sembrano qualificate in base ai voti, ma che in realtà non possiedono le competenze necessarie per il lavoro, riducendo così la produttività e l’efficacia all’interno dell’azienda.
– Impossibilità di distinguere i talenti: senza una corretta correlazione tra voti e competenze reali, diventa difficile individuare i candidati con un vero potenziale, danneggiando il processo di selezione.
2. Sottovalutazione delle reali competenze
Quando i voti sono troppo generosi o non riflettono accuratamente le abilità degli studenti, le competenze reali vengono sottovalutate. Questo può causare:
– Frustrazione nei lavoratori: chi possiede reali capacità e ha lavorato duramente per acquisirle potrebbe sentirsi svantaggiato rispetto a chi ha ottenuto voti alti senza un corrispondente sviluppo delle competenze.
– Sottoutilizzazione del potenziale: le persone con potenziale reale potrebbero non essere riconosciute, impedendo loro di accedere a opportunità professionali adeguate.
3. Distorsione delle aspettative
Una ridotta correlazione tra voti e competenze reali può creare aspettative irrealistiche sia per gli studenti che per i datori di lavoro:
– Aspettative non realistiche dagli studenti: gli studenti che ottengono buoni voti potrebbero credere di essere più preparati di quanto non lo siano, creando una disconnessione tra le loro aspettative e la realtà del mercato del lavoro.
– Declassamento delle posizioni professionali: poiché il sistema educativo non fornisce un segnale chiaro delle competenze, i datori di lavoro potrebbero abbassare gli standard o rivalutare le qualifiche, con conseguenti errori di selezione e perdita di qualità.
4. Effetti sull’efficacia dell’istruzione
La riduzione della correlazione tra voti e capacità effettive può compromettere l’efficacia del sistema educativo nel suo complesso:
– Mancanza di motivazione all’apprendimento profondo: se gli studenti percepiscono che i voti sono più importanti delle vere competenze, potrebbero concentrarsi su come ottenere buoni voti senza imparare in modo significativo. Questo porta a un apprendimento superficiale, che non prepara adeguatamente gli studenti per le sfide future.
– Abbassamento degli standard educativi: i docenti potrebbero abbassare il livello di difficoltà degli esami o delle valutazioni per evitare che gli studenti falliscano, riducendo così la qualità complessiva dell’insegnamento e creando un circolo vizioso di deterioramento delle competenze.
5. Inefficienza nella mobilità sociale
Una scarsa correlazione tra voti e competenze reali può aumentare le disuguaglianze sociali:
– Accesso diseguale alle opportunità: studenti che provengono da ambienti sociali svantaggiati, ma che possiedono capacità reali, potrebbero non ricevere i voti che riflettono il loro potenziale, e quindi non avere lo stesso accesso alle opportunità professionali e accademiche di chi ha ricevuto voti più alti senza meritarselo.
– Compromissione della meritocrazia: un sistema educativo che non premia correttamente le reali capacità rischia di compromettere i principi di meritocrazia, dove le opportunità dovrebbero essere distribuite in base alle capacità reali e non a segnali che non corrispondono alla realtà.
6. Bassa competitività e innovazione
Quando i voti non sono un buon indicatore delle competenze reali, la società potrebbe diventare meno competitiva e innovativa:
– Mancanza di innovatori qualificati: il sistema educativo potrebbe non riuscire a identificare o sviluppare individui con potenziale innovativo se i voti non riflettono le reali capacità.
– Rallentamento della crescita economica: una forza lavoro meno competente e meno motivata a migliorarsi può portare a una minore produttività e a una riduzione della competitività globale.
7. Rischio di disillusione e demotivazione
Se gli studenti ricevono voti che non corrispondono alle loro reali capacità, potrebbero sviluppare una percezione errata del loro potenziale:
– Disillusione: studenti che ricevono voti troppo alti senza aver acquisito competenze reali potrebbero entrare nel mercato del lavoro con aspettative che non vengono soddisfatte, portando a frustrazione e insoddisfazione.
– Demotivazione: studenti che hanno lavorato duramente e acquisito competenze reali, ma non ricevono i voti adeguati, potrebbero sentirsi demotivati e perdere la fiducia nel sistema educativo e nel proprio futuro professionale.
Conclusione
La riduzione della correlazione tra voti e reali capacità ha effetti devastanti su più livelli: inefficienza nel mercato del lavoro, distorsione delle aspettative, abbassamento della qualità dell’istruzione, disuguaglianze sociali e mancanza di innovazione. La qualità dei segnali educativi è cruciale per garantire che il sistema educativo possa svolgere il suo ruolo nel preparare gli individui per il mondo del lavoro e per promuovere una società meritocratica e competitiva.
Ho chiesto a ChatGPT di fornire le referenze bibliografiche dei punti evidenziati, per chi volesse approfondire. Sono riportate in fondo all’articolo.
Ho quindi insistito, ovviamente in base ad un modello teorico che io personalmente ho in testa dai tempi della mia esperienza all’Invalsi sotto il governo Moratti, sviluppato nel corso degli anni di studio su questi temi, anche grazie all’interazione con ricercatori come Hanushek, Trevor Bond e gli esperti della Nwea, oltre che ovviamente il mio amico Giorgio Vittadini che ringrazio per l’opportunità della crescita culturale che mi ha dato.
L’intelligenza artificiale è pericolosa. Se non si fanno domande logiche e sequenziali ChatGPT può facilmente divagare parlando di cose “per sentito dire”. Va messa alle corde e costretta a seguire quello che tu, essere umano, ritieni sia la via giusta da seguire per spiegare il fenomeno studiato.
Ecco la domanda:
Secondo te [ChatGPT] le politiche efficientistiche (in senso privato ovvero delle singole università in competizione tra loro), varate negli ultimi venti anni in Italia, limitatamente all’aspetto della formazione (escludendo quindi l’aspetto della ricerca), che impatto hanno avuto in questo senso, e stanno aiutando o no a rendere più efficiente la società e l’economia? Per favore metti sulla bilancia i pro e i contro, e dimmi se il bilancio è positivo o negativo.
Ecco la risposta:
Mettendo sulla bilancia i pro e i contro delle politiche efficientistiche adottate dalle università italiane negli ultimi venti anni, il bilancio complessivo dipende dalla prospettiva da cui si guarda e dai parametri che si considerano più rilevanti. Tuttavia, in generale, possiamo dire che il bilancio tende a essere negativo per diversi motivi, nonostante alcuni aspetti positivi.
Pro (aspetti positivi):
1. Maggiore orientamento al mercato del lavoro:
Le politiche efficientistiche hanno spinto le università a migliorare la qualità della formazione in risposta alle esigenze del mercato, con programmi più orientati alla pratica e alla competenza.
2. Migliore allocazione delle risorse:
La competizione tra università ha portato a una gestione più efficiente delle risorse, migliorando i risultati misurabili come tassi di laurea, riduzione dei tempi di laurea, e l’implementazione di innovazioni nei corsi di laurea.
3. Incentivazione a migliorare l’offerta formativa:
Le università sono state spinte a diversificare i corsi, introducendo nuove discipline in risposta alle esigenze emergenti del mercato del lavoro, come tecnologie avanzate e competenze professionali specialistiche.
4. Internazionalizzazione:
L’incentivazione alla competizione ha favorito l’internazionalizzazione delle università, migliorando l’accesso a scambi culturali e accademici per gli studenti.
Contro (aspetti negativi):
1. Distorsione tra voti e reali capacità:
L’orientamento alla performance quantitativa ha portato alcune università a indulgere nella valutazione, abbassando gli standard per raggiungere determinati obiettivi numerici. Questo ha prodotto una disconnessione tra i voti e le reali competenze degli studenti.
2. Aumento delle disuguaglianze:
Le università con più risorse hanno dominato il sistema, mentre quelle con meno risorse non sono riuscite a mantenere gli stessi standard, creando una polarizzazione tra atenei di alta e bassa qualità.
3. Inadeguata preparazione pratica:
Nonostante la maggiore attenzione alle competenze richieste dal mercato, molte università non sono riuscite a garantire una preparazione adeguata per il mondo del lavoro, concentrandosi troppo sui numeri e non sufficientemente sulle competenze pratiche effettive.
4. Pressione sulla velocità di laurea:
La competizione tra atenei ha portato ad un’attenzione maggiore sulla velocità di laurea e sulla riduzione dei tempi di completamento, rischiando di comprimere l’approfondimento delle competenze e la qualità dell’apprendimento.
Bilancio complessivo:
Negativo in molti casi, per i seguenti motivi:
La distorsione tra voti e capacità ha avuto un effetto deleterio sulla qualità complessiva del sistema educativo, riducendo l’affidabilità dei titoli di studio.
Le disuguaglianze tra atenei e la polarizzazione della qualità hanno creato un sistema educativo che non è equamente accessibile e che non prepara tutti gli studenti in modo adeguato per il mercato del lavoro.
La preparazione insufficiente degli studenti in molte università, nonostante l’orientamento verso il mercato, rischia di perpetuare inefficienze economiche a lungo termine, poiché gli studenti potrebbero trovarsi impreparati a soddisfare le necessità delle imprese.
In sintesi, mentre le politiche efficientistiche hanno portato a un aumento dell’efficienza amministrativa e miglioramenti parziali nella gestione delle risorse, gli effetti collaterali negativi sulla qualità educativa e sulla disconnessione tra voti e competenze hanno reso complessivamente il bilancio negativo. Sarebbe necessario un aggiustamento delle politiche per migliorare l’allineamento tra il sistema educativo e le reali esigenze del mercato del lavoro, senza sacrificare la qualità della formazione.
Questa la prima puntata.
Sarebbe utile una interazione dei lettori interessati nel gruppo Facebook che ho creato: Riflessioni di un 70enne sulla stagione del ’68.
Bibliografia
Ecco alcune referenze bibliografiche che trattano i temi principali relativi agli effetti di una riduzione della correlazione tra voti e competenze reali degli studenti:
1. Difficoltà nella selezione della forza lavoro e distorsione delle aspettative
Spence, M. (1973). Job Market Signaling. Quarterly Journal of Economics, 87(3), 355-374.
Questo articolo fondamentale introduce il concetto di “signaling” nel mercato del lavoro, spiegando come le credenziali educative (come i voti) fungano da segnali per i datori di lavoro e come la loro imprecisione possa portare a scelte di assunzione errate.
Arrow, K. J. (1973). Higher Education as a Filter. Journal of Economic Literature, 11(3), 193-204.
Arrow discute come l’istruzione funzioni come un filtro nel mercato del lavoro, dove le credenziali accademiche vengono utilizzate per segnalare le competenze agli datori di lavoro. Se il sistema educativo non riflette accuratamente le reali capacità, l’efficacia di questo filtro diminuisce.
2. Sottovalutazione delle competenze reali
Boudon, R. (1974). Education, Opportunity, and Social Inequality: Changing Prospects in Western Society. Wiley.
Boudon esplora come la disuguaglianza educativa possa essere esacerbata quando le credenziali non corrispondono alle vere capacità, e come ciò influenzi le opportunità di carriera degli individui.
Dore, R. (1976). The Diploma Disease: Education, Qualification, and Development. Allen & Unwin.
Dore critica il sistema educativo che enfatizza i titoli di studio formali piuttosto che le reali competenze, con effetti dannosi sia per gli individui che per l’economia.
3. Distorsione degli incentivi
Stiglitz, J. E. (1975). The Theory of “Screening”, Education, and the Distribution of Income. The American Economic Review, 65(3), 283-300.
Stiglitz analizza come l’istruzione possa fungere da meccanismo di “screening” per il mercato del lavoro, dove l’inefficacia nel segnalare le competenze reali può ridurre gli incentivi per gli studenti a imparare realmente.
Lazear, E. P. (2003). Teacher Incentives. Swedish Economic Policy Review, 10(2), 159-176.
Questo studio esplora come gli incentivi nel sistema educativo possano essere distorti dalla mancanza di una correlazione chiara tra prestazioni e ricompense.
4. Effetti sull’efficacia dell’istruzione
Becker, G. S. (1964). Human Capital: A Theoretical and Empirical Analysis, with Special Reference to Education. University of Chicago Press.
Becker fornisce una teoria del capitale umano, suggerendo che l’istruzione dovrebbe sviluppare competenze reali, ma che un’inaccurata valutazione delle stesse può portare a inefficienze nell’allocazione delle risorse.
Carnoy, M., & Rhoten, D. (2002). What Does Globalization Mean for Educational Change? A Comparative Approach. Comparative Education Review, 46(1), 1-9.
Questo articolo esplora come la qualità dell’istruzione possa essere distorta da sistemi che non correlano correttamente le credenziali accademiche con le competenze pratiche.
5. Inefficienza nella mobilità sociale
Hout, M., & Janus, A. (2011). Educational Assortative Mating and the Mobility of Children’s Educational Attainment. Sociology of Education, 84(3), 234-246.
Questo studio discute come le differenze nei voti educativi possano influire sulla mobilità sociale, poiché i segnali educativi errati possono perpetuare le disuguaglianze tra gruppi sociali.
Blanden, J., & Machin, S. (2004). Educational Inequality and the Expansion of Higher Education. Scottish Journal of Political Economy, 51(2), 230-248.
Questo studio esamina l’impatto delle disuguaglianze educative sulla mobilità sociale e come le credenziali scolastiche errate possano ostacolare l’accesso delle persone a opportunità di carriera.
6. Bassa competitività e innovazione
Nelson, R. R., & Winter, S. G. (1982). An Evolutionary Theory of Economic Change. Harvard University Press.
Questo libro introduce il concetto di innovazione e adattamento economico, suggerendo che la mancanza di un sistema educativo che segnali accuratamente le competenze può rallentare la capacità di un’economia di adattarsi ai cambiamenti tecnologici e innovativi.
Acemoglu, D., & Autor, D. H. (2011). Skills, Tasks and Technologies: Implications for Employment and Earnings. In Handbook of Labor Economics, Volume 4B.
Acemoglu e Autor discutono l’importanza della selezione basata sulle competenze nel mercato del lavoro e come una cattiva segnalazione delle competenze possa ridurre la produttività e l’innovazione.
7. Rischio di disillusione e demotivazione
Ryan, R. M., & Deci, E. L. (2000). Self-Determination Theory and the Facilitation of Intrinsic Motivation, Social Development, and Well-Being. American Psychologist, 55(1), 68-78.
Ryan e Deci esplorano come la motivazione intrinseca e il senso di realizzazione siano legati a esperienze educative genuine. Se gli studenti sono valutati ingiustamente, ciò può portare a disillusione e perdita di motivazione.
Dweck, C. S. (2006). Mindset: The New Psychology of Success. Random House.
Dweck discute come le aspettative di successo e il feedback educativo influenzino la motivazione degli studenti. Un sistema che non premia correttamente le reali capacità può abbassare il mindset di crescita degli studenti.
Queste referenze forniscono una panoramica teorica e empirica dei temi legati alla riduzione della correlazione tra voti e competenze reali, esplorando le implicazioni per il mercato del lavoro, l’educazione e la società nel suo complesso.
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