Quello di ieri non è stato uno sciopero generale, ma un’altra cosa, spiega con piglio energico Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl. “Una deriva che non ci piace, potenzialmente pericolosa. Se guardiamo ai toni e alle parole d’ordine della protesta di ieri si fa veramente fatica a non darle una colorazione ideologica”. Il conflitto ci può stare, l’antagonismo no. Quella del Governo Meloni, poi, “non è una manovra da sciopero generale”. La Cisl si batte per “un dialogo costruttivo e concertativo tra governo e parti sociali responsabili”, e i risultati, per il capo della Cisl, si vedono.
Segretario, questo sciopero generale sarà ricordato per una frase di Landini: “Rivolteremo il Paese come un guanto”.
Partiamo col dire che questa non è una manovra da sciopero generale, e cerchiamo anche di fare chiarezza su un punto: lo sciopero è uno strumento nobile. Una scelta di impegno e sacrificio per i lavoratori.
Quindi?
Proprio per questo va usato con saggezza, e sempre per scopi sindacali, mai per surrogare funzioni di opposizione partitica. Se guardiamo ai toni e alle parole d’ordine della protesta di ieri si fa veramente fatica a non darle una colorazione ideologica.
Per questo vi siete chiamati fuori.
Il nostro no è legato prima di tutto a una questione di fondo, che ha a che fare con toni sempre più alti, sempre più radicalizzati, sempre meno legati al merito di un provvedimento. Una deriva che non ci piace, che infiamma le relazioni sociali e sindacali, potenzialmente pericolosa in un Paese che ha visto le P38 in piazza. E che alla lunga allontana il sindacato dai lavoratori.
Infatti voi avete scelto un’altra strada. Si è mai pentito?
Tutt’altro: la linea della Cisl, fondata sul confronto, sul negoziato, anche sul conflitto ma mai sull’antagonismo, ha sempre dimostrato di essere la strada più efficace per tutelare concretamente i lavoratori.
Un metodo opposto.
La strada dell’antagonismo, senza proposte credibili, non porta da nessuna parte e danneggia, isolandoli, gli stessi soggetti che la percorrono.
Avete “ceduto”, direbbe qualcuno che era in piazza ieri.
Non è una questione di “cedimento”, ma di responsabilità. Lo sciopero può essere una scelta giusta in determinate situazioni, ma esaurisce la sua forza se diventa una risposta automatica a ogni difficoltà. Noi crediamo che la contrattazione e il dialogo permettano di ottenere risultati duraturi, di migliorare le condizioni di lavoro e di intervenire sulle scelte economiche e sociali. Invece di alzare barricate, preferiamo costruire ponti: non per il governo, ma per i lavoratori e per il Paese.
Lei due settimane fa aveva espresso “apprezzamento” per i contenuti della legge di bilancio. A cosa pensa in particolare?
Abbiamo riconosciuto alcuni passi importanti, che recepiscono nostre precise rivendicazioni: penso al taglio del cuneo e all’accorpamento degli scaglioni Irpef strutturali, alla detassazione su salari di produttività e al potenziamento della defiscalizzazione sui fringe benefit, ai 5,5 miliardi stanziati per il rinnovo dei contratti pubblici 2025-27 e dell’accantonamento anche per il ciclo successivo. E poi al sostegno alla famiglia e alla conciliazione vita-lavoro, all’adeguamento pieno delle pensioni all’inflazione, agli 1,3 miliardi sulla sanità che diventano 2,3 a legislazione corrente. Si aggiungono gli sgravi alle assunzioni di giovani e donne al Sud, il rifinanziamento della Legge Sabatini e la Zes unica al Sud con 1,6 miliardi. Sono contenuti che non vogliamo lasciar intestare alla politica. Poi è ovvio che non è tutto perfetto.
Cosa vorreste?
Dobbiamo superare i tagli agli organici della scuola, cancellare il blocco parziale del turnover nei pubblici uffici, aumentare le risorse per sanità e non autosufficienza, tornare indietro nella sforbiciata al Fondo Automotive, incrementare le risorse per il Sud e alleggerire ancora il carico fiscale sulle fasce medie. Il nostro impegno continua in Parlamento, dentro e oltre i confini della manovra, per difendere i risultati e raggiungere questi nuovi obiettivi.
Lei dice da tempo che serve un percorso per mettere d’accordo parti sociali e istituzioni. Perché?
Perché l’Italia ha bisogno di stabilità sociale, e questo passa, come afferma anche il Presidente Mattarella, da un dialogo costruttivo e concertativo tra governo e parti sociali responsabili.
E questa sua scelta sta pagando?
Direi di sì: il protocollo siglato sulla regolazione dello sciopero nell’anno giubilare, le conquiste in legge di bilancio, le battaglie vinte sui rinnovi contrattuali, non ultimi quelli sulle Funzioni centrali della Pa e delle Poste, sono la dimostrazione che il metodo del confronto e della responsabilità paga.
Qual è adesso il vostro obiettivo?
Bisogna estendere questo metodo oltre i limiti del 2024 e renderlo bussola di un cammino di riforme realmente partecipato e condiviso, verso un nuovo contratto sociale che affronti i nodi strutturali che frenano ancora coesione e sviluppo.
Quali sono questi nodi strutturali, segretario?
Sanità, politiche attive, nuove strategie industriali, rilancio dei salari e della produttività, redistribuzione fiscale e nuova previdenza, partecipazione dei lavoratori agli utili e alla vita delle imprese.
Quest’ultimo aspetto è una sua proposta-manifesto. Non è troppo futuristica?
La partecipazione dei lavoratori alla governance delle imprese non è solo un’idea: è una necessità per modernizzare il nostro sistema economico. L’articolo 46 della Costituzione parla chiaro, e ci sono esperienze europee che dimostrano che questa strada funziona.
Ma le nostre imprese cosa dicono?
Abbiamo trovato interesse da parte di alcune imprese e associazioni imprenditoriali, che iniziano a vedere nella partecipazione non solo un principio di giustizia sociale, ma anche un’opportunità per aumentare la produttività e la competitività. Governo, sindacato e sistema delle imprese devono avere il coraggio di spingere su questa direzione, con incentivi che ne favoriscano la diffusione per via contrattuale. Noi siamo pronti a fare la nostra parte.
(Federico Ferraù)
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