AttenderLo giorno e notte

L’Avvento è attesa, paradossalmente, di Uno che è già presente e che per questo accende il nostro cuore. È l’unico baluardo contro la paura

“Normalmente la consistenza noi la cerchiamo in quello che facciamo o in quello che abbiamo, che è lo stesso. Così, la nostra vita non ha mai quel sentimento, quell’esperienza della certezza piena, che la parola ‘pace’ indica, quella certezza e quella pienezza, quella certezza piena, senza della quale non c’è pace, non c’è gioia. Al massimo, noi arriviamo al compiacimento in quello che facciamo o al compiacimento in noi stessi. E questi frammenti di compiacimento in quello che facciamo o in quello che siamo non recano nessuna allegrezza e nessuna gioia, nessun senso di pienezza sicuro, nessuna certezza e nessuna pienezza. La certezza è qualche cosa che è avvenuto a noi, accaduto a noi, entrato in noi, incontrato da noi: la consistenza della nostra persona è qualcosa che ci è avvenuto, ‘Uno ci è accaduto’. ‘Vivo, non io, ma è questo Cristo che vive in me’” (L. Giussani, La familiarità con Cristo, pp. 25-26, in Una presenza nello sguardo. Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione, Rimini, 24 aprile 2015, pp. 15-16).



Che effetto ci fa, oggi, leggere sul calendario “Prima domenica di Avvento”? Che novità può essere, l’inizio dell’Avvento, rispetto a tutte le sfide di cui è piena la nostra vita e il mondo? Chi si aspetta, dall’inizio di un tempo come questo, il cambiamento di sé e della storia? Come sempre la posta in gioco è alta e non possiamo cavarcela nascondendoci dietro la scommessa circa la riuscita dei nostri progetti, di quello che abbiamo o di quello che facciamo. Tutto, attorno a noi, suggerisce un’altra strada, anche se talvolta questo suggerimento avviene in modo drammatico: c’è Qualcuno da attendere.



Lo rivela anche il Vangelo di oggi: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21, 25-28).

Il movimento cosmico, descritto dall’evangelista Luca, ha nella presenza di Cristo la sua ragione ultima, e nella prossima liberazione la speranza affidabile per “risollevare il capo”. Non si tratta di un’agitazione senza scopo, come quelle che fanno attendere a tanti il venerdì, ma di una vera e propria risposta a Uno che sta per venire, e che accende la nostra attesa. Come in ogni circostanza che chiede una risposta, l’unica causa di morte è la paura, perché ferma sul nascere qualsiasi passo. L’attesa rimane l’antidoto all’affermazione di noi stessi. Attesa come metodo della vita, non come moralistico pazientare che le cose accadano o si risolvano.



È l’attesa dell’Avvento: di Uno che è già presente. Potrebbe sembrare un colossale controsenso, invece rimane l’unica possibilità per non soccombere ai nostri tentativi, riusciti o meno, accolti o rifiutati, compresi o contestati, persino impediti. Come richiamava don Giussani due giorni dopo l’occupazione dell’Università Cattolica: “Possiamo far le nostre cose e assumere come paradigma, senza che ce ne accorgiamo, quello di tutti, il paradigma offerto da tutti gli altri. È dall’attenderLo giorno e notte che si distingue il nostro discorso, le nostre azioni” (Ritiro di Avvento del Gruppo adulto, Milano, 19 novembre 1967, in A. Savorana, Vita di don Giussani, p. 391).

Con il genio educativo che lo contraddistingueva, don Giussani aveva intravisto, nell’ingenua mossa di alcuni dei suoi ragazzi di partecipare all’occupazione, un cambio di metodo e, dunque, una falsa attesa, tanto da portarlo a dire, nel medesimo ritiro del 1967: “Veramente siamo nella condizione d’essere all’avanguardia, i primi di quel cambiamento profondo, di quella rivoluzione profonda che non starà mai – dico: mai – in quello che di esteriore, come realtà sociale, pretendiamo avvenga. Non sarà mai nella cultura o nella vita della società, se non è prima in noi. Se non incomincia tra di noi questo sacrificio di sé… Non un obolo da dare, ma una rivoluzione di sé, nel concepire sé senza pre-concetto, senza mettere in salvo qualche cosa prima”.

L’Avvento è il momento giusto per verificare cosa è “avvenuto a noi, accaduto a noi, entrato in noi, da noi”, altrimenti tutto diventerà presto obiezione e scandalo, compreso il rifiuto da parte del mondo che, tra l’altro, Gesù aveva abbondantemente profetizzato. C’è Uno che ci attende nonostante tutte le nostre reazioni. Decisamente un’altra strada rispetto al “senza rivolta non c’è libertà”. Con questa sfida aperta possiamo prepararci al Natale.

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