La musica non è un’invenzione dell’uomo, appartiene all’universo e i suoi sono raggi che attraversano cieli e corpi: è questa la curiosa visione di Riccardo Muti, secondo cui coloro che hanno una natura musicale più intensa sono quelli maggiormente colpiti da questi raggi. C’è poi chi viene trafitto da essi, come Mozart, forse si spiegano così le morti precoci di artisti come Schubert, Pergolesi e lo stesso Mozart, che resta il più grande di sempre per il direttore d’orchestra.
Ne parla in una lunga intervista al Corriere della Sera, definendolo un “artista indispensabile“, immenso non solo a livello sinfonico, ma anche per la sua capacità di descrivere gli uomini esattamente come sono, ma senza giudicarli, a differenza invece di quanto faceva Beethoven, “un moralista“. Mozart, dunque, è necessario perché indagava il fattore umano, per cui nelle sue opere si ritrovano tutti gli uomini, ma tra gli artisti necessari Muti cita anche Bach e gli italiani Scarlatti e Verdi.
A tal proposito, ne approfitta per un appunto al sistema scolastico che non lo fa studiare a scuola: “Siamo convinti che educare alla musica i nostri ragazzi consista nell’obbligarli a suonare il piffero, traendone orrendi suoni striduli“. Muti smentisce poi una rivalità con Abbado, definendola “una stupidaggine” fatta circolare da “falsi intenditori“, cioè i critici: c’è sempre stata stima reciproca e poi hanno seguito percorsi diversi.
LA PACE CON PAVAROTTI E LA CHIAMATA DELLA CALLAS
Parlando dei più grandi tenori, Riccardo Muti cita Pavarotti per la voce più bella, una delle “più straordinarie create dal Padreterno“. I due litigarono e si ritrovarono in un concerto a sostegno di una comunità di tossicodipendenti, per il quale Pavarotti tornò dall’America senza percepire alcun compenso, ma anzi sostenendo le sue spese. Il direttore d’orchestra non nasconde lo scetticismo di allora per la scelta di alcuni brani, ma alla fine “fu un grande successo“.
Altra voce grandiosa è quella di Maria Callas, che però Muti non ha mai incontrato di persona. Ma al Corriere racconta di una telefonata ricevuta nel 1973 perché stava pensando a le per Macbeth. “È tardi!“, rispose lei con un cambio di tono di voce da cui Muti percepì “il dramma della grande artista al passo d’addio“. Quello fu l’unico contatto tra i due, “incredibilmente commovente“.
A proposito di canto, da una vita combatte contro il “modo circense di cantare“, cioè la ricerca dell’acuto che, ad esempio, lo ha portato a non sopportare più Vincerò. “Questa nota che dura sempre più a lungo… Dalla musica italiana ci si attende il languore infinito, lo strillo senza misura“. Ciò lo spinge a una riflessione sullo stato dell’arte: Riccardo Muti ritiene che l’Italia abbia perso alcuni valori, nonostante abbiano la più grande tradizione al mondo, così non deve sorprendere se Seul ha 22 orchestre sinfoniche, mentre l’Italia solo 2.
DALLA GESTUALITÀ ALLA CANCEL CULTURE
A proposito del suo ruolo, Riccardo Muti conferma di non amare la gestualità eccessiva, perché il direttore d’orchestra prepara, non muove le braccia, quindi è un leader che deve dare equilibrio e che quando inizia il concerto ha già fatto tutto. “La gestualità eccessiva mette un muro tra l’orchestra e il pubblico. Non senti la musica; vedi il direttore“, spiega Muti, dribblando poi le domande sulla politica, ritenendosi “una persona libera di pensiero“, senza protettori e sponsor.
Riccardo Muti non vuole essere classificato, perché si sente indipendente, d’altra parte è consapevole che forse per questo ora faticherebbe a farsi strada. Di sicuro è preoccupato per le sorti del nostro Paese: “Non sappiamo più chi siamo. Abbiamo reciso le nostre radici“. Infatti, è contrario alla cancel culture e alla cultura woke, perché i giovani devono conoscere gli errori del passato. “In certi teatri cambiano i libretti. Ma così diventa una dittatura del pensiero; che è la forma dittatoriale più pericolosa“, avverte Muti.
Riguardo la Scala, ricorda con orgoglio i vent’anni “meravigliosi” vissuti, ma riserva anche una frecciata alla Rai per il concerto di Capodanno che dirigerà per la settima volta: “Peccato che la Rai, a differenza di molti altri Paesi, non lo trasmetterà in diretta“.
LA VISIONE DI RICCARDO MUTI DELL’ALDILÀ
Riccardo Muti torna poi a parlare della morte, anche perché tre anni fa, quando dichiarò che era stanco di vivere, in molti lo contattarono temendo che si volesse suicidare. Inoltre, conferma il divieto degli applausi al suo funerale. “La prima a essere applaudita da morta fu Anna Magnani: ma fu giusto, lei era l’Italia. Adesso applaudono pure i mafiosi“.
Tra le personalità che ammira Riccardo Muti cita il filosofo Isaiah Berlin, ma anche Papa Benedetto XVI, mentre riserva un appunto a Papa Francesco: “Con lui di musica in Vaticano credo se ne faccia poca, non come ai tempi di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che era un musicista“. L’ha incontrato una sola volta e gli chiese di ricordare cosa ha fatto la Chiesa per la musica, senza però ricevere risposta.
Infine, quando gli viene chiesto di immaginare l’aldilà, il direttore d’orchestra torna al concetto di energia, che si può intendere anche come anima o spirito, comunque qualcosa che origina la vita. “Quando moriamo, questa energia si libera nell’universo. (..). La comunione dei santi, come dice la Chiesa, è l’unione di queste energie, che non si esauriscono, ma continuano a fondersi e a confondersi“, spiega Riccardo Muti.