Anche le ultime elezioni regionali in Umbria e in Emilia-Romagna hanno visto l’astensionismo farla da padrone, registrando una percentuale di votanti del 46,42%, risultato non migliore del 45,9% registrato nell’analoga consultazione ligure di fine ottobre. Qualcosa però si sta muovendo? Sarà un paradosso, ma in qua e in là si sta ricominciando a parlare di politica. Quasi segnalandone il bisogno. Colpisce che addirittura uno psicanalista, Massimo Recalcati, in reiterati recenti interventi sulla dilagante violenza giovanile anche nelle scuole, abbia indicato la politica come un’esperienza da ritrovare, quasi un argine da ricostruire. “La violenza dovrebbe tradursi in politica, in dibattito. Altrimenti la violenza prende il posto delle parole non dette”. “La violenza è sintomo di una debolezza della parola, della politica e della democrazia”.
Di una debolezza della politica ha parlato anche il filosofo Massimo Cacciari in un recente intervento sulla Stampa. “L’astensionismo rivela un male profondo. Alla semplice denuncia dei vari governi ad affrontare i problemi strutturali del Paese, subentra ora come un senso dell’impotenza dell’intera classe dirigente”. E aggiungeva: “Non sarà che proprio la politica, o almeno la nostra politica, non ce la fa a reggere la barca nel salto d’epoca che attraversiamo?”.
Alla voce degli intellettuali sta cominciando anche ad unirsi una percezione di tanti di noi a cui forse non basta più guardare alla politica come al luogo degli intrallazzi e delle mani “sporche”. Forse cominciamo a renderci conto che un mondo che va verso un disinteresse crescente nei confronti della cosa pubblica, detto meglio della res publica, non promette bene né per noi né per i nostri figli, ai quali ci piacerebbe lasciare un Paese libero, ben governato, con condizioni di vita e di lavoro buone. Un Paese con rappresentanti democraticamente eletti, competenti, fallibili come tutti gli uomini, ma animati da ideali condivisi con altri uomini. Un Paese dove si ami il pluralismo, unica possibile alternativa alla dittatura, dove si pratichi il dialogo come confronto tra visioni diverse alla ricerca di ogni possibile convergenza per il bene del popolo.
Sarà che i tanti seppure diversi populismi, dopo aver tanto distrutto, stanno segnando una qualche battuta di arresto. Sarà che anche i giovani cominciano a sentire l’esigenza di affrontare le questioni non dalle panchine di opposte tifoserie, ma mettendo le mani nel fango dei paesi e delle case alluvionate e (perché no?) provando anche ad avventurarsi nella politica. Sta di fatto che di politica si ricomincia a parlare, se non altro perché se ne avverte il bisogno. La politica dei partiti, degli ideali, del pluralismo democratico. La politica che sa guardare la realtà. Che ha a cuore l’uomo concreto, con la sua natura fatta di desideri e di bisogni, di domande e di attese.
È attuale come non mai ricordare quanto nel 1987, parlando di potere e di politica, don Giussani aveva affermato “Il desiderio è come la scintilla con cui si accende il motore. Il desiderio accende il motore dell’uomo. E allora si mette a cercare il pane e l’acqua, si mette a cercare il lavoro, a cercare la donna, una poltrona più comoda e un alloggio più decente, si interessa a come mai taluni hanno e altri non hanno”.
Troppo romantico tirare fuori il desiderio a proposito della politica? Ma se ci pensiamo bene, cosa c’è nell’uomo di più reale del suo desiderio? Cosa c’è di più evidente delle esigenze che il rapporto con la realtà suscita? Le ingiustizie e le iniquità ci feriscono. Le diversità, di razza, cultura, religione, non di rado ci disturbano, anche se capiamo che sono un fattore della realtà ineludibile. Le guerre ci impauriscono. La sostenibilità ambientale ci interroga drammaticamente. I cambiamenti legati all’innovazione ci spaventano. Il futuro lavorativo nostro e dei nostri figli ci appare troppo incerto. Queste sono le sfide che oggi chi ha ancora voglia di fare politica si trova ad affrontare. Per non soccombere davanti a queste sfide, ma per affrontarle, abbiamo bisogno di qualcosa di grande che intercetti il nostro desiderio, qualcosa per cui valga la pena spendersi. Abbiamo bisogno di ideali che mettano insieme gli uomini e che siano all’origine dell’azione politica.
Perché gli uomini hanno bisogno di condividere qualcosa di più grande di loro, più grande dei loro interessi, qualcosa all’altezza del loro desiderio, un punto, un’esperienza da cui partire per costruire. Una fede religiosa, ma anche un ideale laico. Purché ci siano uomini che per amore a questo ideale siano disposti alla responsabilità e al sacrificio. Uomini che possano dire di sé ciò che diceva Pericle nel 461 a.C. agli ateniesi, a proposito della democrazia, della giustizia, della libertà, fino al rispetto delle leggi non scritte: “Qui ad Atene noi facciamo così”. Abbiamo bisogno di una politica capace di valorizzare e di far dialogare uomini che nella diversità dei loro ideali sappiano dire “Noi facciamo così”. E che sappiano riconoscere che il “fare” di altri ha pari dignità, anzi può essere portatore di qualcosa di buono e di nuovo non ancora sperimentato.
Veramente mai come oggi gli ideali sono sfidati nella loro capacità di affrontare questo cambiamento d’epoca, con il fascino ma anche l’incertezza che il nuovo sempre comporta. E, come aveva detto don Giussani nel ’95, “Una politica preoccupata di una posizione ideale stabilisce un’onda educativa, e questo realizza un respiro maggiore di libertà, un respiro più libero, perciò una creatività, una fantasia”. È di una politica così che abbiamo bisogno.
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