Caso Sara Pedri, il Tribunale del lavoro di Trento ha stabilito che il licenziamento dell’ex primario del reparto di ginecologia Saverio Tateo, imputato nel processo per maltrattamenti, è illegittimo. L’azienda sanitaria è stata quindi costretta a risarcire il medico con una somma pari a 125mila euro, già versati lo scorso settembre a titolo di stipendi dovuti ma non erogati, ma ha comunque avanzato una richiesta di rimborso per danno di immagine subìto proprio a causa della vicenda, pari a 600mila euro. Ora i Giudici dovranno stabilire l’entità degli importi, sia la congruenza con il risarcimento chiesto da Tateo, che inizialmente era molto più alto rispetto a quanto pagato, sia se ci siano o meno i presupposti per procedere con la causa per danni.
Il processo prosegue ed entro gennaio probabilmente potrebbe arrivare la sentenza che concluderà il procedimento giudiziario iniziato proprio dalle accuse che hanno poi fatto scattare le indagini e coinvolto gli imputati Tateo e la sua vice Liliana Mereu, denunciati per comportamenti umilianti e violenti che avevano poi portato la giovane ginecologa a togliersi la vita in preda ad una crisi depressiva.
Saverio Tateo, ex primario accusato di maltrattamenti nel caso Sara Pedri: come è finita?
Saverio Tateo, l’ex primario di ginecologia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, imputato nel caso del suicidio di Sara Pedri per maltrattamenti avvenuti sul posto di lavoro, rischia una condanna a 4 anni, due mesi e 20 giorni. Il medico aveva però avviato una causa presso il tribunale del lavoro, opponendosi al licenziamento da parte dell’azienda sanitaria, procedimento che si è concluso con un risarcimento di 125mila euro per gli stipendi non versati in quanto i giudici hanno stabilito che la risoluzione del rapporto di lavoro è illegittima.
Proseguono nel frattempo anche le accuse e le testimonianze emerse durante il processo, che aggravano la situazione dei due specialisti. Sono in totale 7 le dottoresse che hanno rilasciato pesanti dichiarazioni in merito al clima di terrore nel quale erano costrette a lavorare sia in reparto che in sala operatoria. Un rapporto definito “tossico” con continue umiliazioni, insulti e violenze verbali e psicologiche, che avrebbero provocato nei dipendenti vari problemi di ansia e depressione. Un fenomeno che la stessa Pedri aveva provato a denunciare con lettere al direttore sanitario, scritte poco prima di togliersi la vita ma mai inviate.