Hanno preso Aleppo e Hama, assediano Homs (dove Hezbollah ora dice di aver inviato 2mila uomini) e sarebbero vicini a Damasco. Hayat Tahrir al Sham (HTS) avanza in Siria, mettendo sempre più in pericolo il regime di Assad, che alcuni danno addirittura già in fuga. Russi e iraniani, alleati del regime, non stanno reagendo più di tanto, e l’esercito siriano in questo momento non è all’altezza. Il Paese, spiega Marco Di Liddo, direttore del CeSI (Centro Studi Internazionali), rischia una frammentazione sul modello iracheno: Mosca e Teheran, per motivi diversi, non hanno la forza di sostenere Assad, mentre Turchia e Israele appoggiano i ribelli islamisti, che potrebbero fare comodo anche agli USA. La Siria, infatti, dove i russi hanno delle basi, diventerebbe uno dei temi di confronto con la Russia nelle trattative per la pacificazione dell’Ucraina. La Siria, d’altra parte, è uno snodo importante anche dal punto di vista economico, come possibile passaggio di gasdotti che trasportano energia dal Golfo all’Europa.
I jihadisti avanzano, la sorte di Assad è segnata?
Io sono sempre molto prudente nel dare per morto il dittatore di un Paese. L’analisi dei fattori che compongono la situazione ci dice che l’esercito siriano è in rotta, ma soprattutto che i russi e il fronte sciita, che sono i principali sostenitori di Assad, al momento non hanno preso iniziative forti in sua difesa.
Perché Mosca e Teheran non lo aiutano?
Sono in una fase di debolezza per motivi diversi: i russi devono pensare al conflitto in Ucraina e quindi non possono andare con grandi numeri e risorse a supporto di Assad; gli iraniani temono che un’iniziativa forte in Siria li indebolirebbe, tanto che la situazione potrebbe essere sfruttata da Israele. Non a caso, sia Hezbollah sia le milizie sciite irachene hanno detto che intendono tenersi fuori dal conflitto.
Il quadro siriano, però, è molto complesso. Come giocano gli altri interessi in campo?
Il quadro dal punto di vista politico e religioso è molto variegato, anche per quanto riguarda gli attori esterni. Nessuno, in questo momento, è in grado di promuovere da solo una nuova pax siriana, un’architettura stabile e valida per tutti. Certo, se a Iran, Russia e Turchia vengono date garanzie accettabili in tutela dei loro interessi, allora Assad non serve più.
Ma da chi devono averle queste garanzie, dai terroristi di HTS?
Questi sono strumenti di altri, di un fronte internazionale che parte dalla Turchia ma che comprende anche Israele, che potrebbe aver messo in atto forme di supporto nei loro confronti. Non ci sono elementi empirici che ci fanno concludere per un coinvolgimento anche degli USA, però non è da escludere che ci sia qualche attività covert. Per ora è una supposizione. Sarebbe un colpo all’Iran e quindi una mossa razionale per loro nell’area.
Un colpo all’Iran e anche alla Russia, che ha delle basi in Siria?
Esatto. I russi non possono perdere le loro basi nel Mediterraneo e, in questo momento di debolezza, sono più inclini a parlare. Anche perché l’idea degli americani è mettere tutto a sistema quando bisognerà venire a patti con Mosca, in un confronto che non comprenderà solo l’Ucraina, ma, appunto, anche la Siria. Il tavolo sarà unico. Assad non sarà più indispensabile nel momento in cui alla Russia si garantiscono le basi e ai turchi uno stato cuscinetto nel Nord per evitare l’attivismo curdo.
Il motivo per cui la Siria è così contesa può essere anche economico?
A livello strategico si gioca la grande partita dei gasdotti, della Siria come punto di passaggio per portare il gas del Golfo verso l’Europa. Ci sono progetti in tal senso che sono sempre stati bloccati dai russi e dagli iraniani. È ovvio che, se cambia il governo siriano, potrebbe non essere più così. Per la UE potrebbe andare bene, perché significherebbe l’arrivo di gas a basso costo, che ci aiuterebbe a risolvere il problema del prezzo dell’energia. Rimane il grosso punto di domanda su chi andrà al potere.
Anche il vicino Iraq ha dimostrato che togliere di mezzo un dittatore non è automaticamente sinonimo di miglioramento della situazione. Qual è il rischio?
La Siria rischia davvero di finire in uno scenario simil-iracheno, con una realtà numericamente più importante, quella araba, anche se variegata e composta da chi ha idee più secolari e chi islamiste. I miliziani HTS, nonostante l’operazione di maquillage per presentarsi in modo conciliante, restano sempre dei fondamentalisti.
Assad, insomma, non è ancora spacciato ma tutto gioca contro di lui?
Si può salvare solo grazie al combinato degli sciiti e dei russi, ma entrambi questi fronti sono o più deboli o alle prese con altre problematiche che giudicano prioritarie.
Gaza, Libano, Siria: come sta cambiando la mappa geopolitica del Medio Oriente, che futuro si sta delineando?
Andiamo verso un Medio Oriente caotico, in cui si sta creando un fronte sempre più largo contro l’Iran, in cui i Paesi sunniti sono in vantaggio, anche in virtù di una convergenza di interessi con Israele. In questo macro-trend, che però per delinearsi ha bisogno ancora di tempo, la Turchia cerca di raccogliere quello che può.
Di fatto l’Asse della resistenza, che passa da Libano, Siria e in parte Iraq, e costruito intorno all’Iran, si sta spaccando?
Si sta indebolendo, in un contesto in cui i Paesi sunniti cercano di dare una spallata per orientare la situazione definitivamente a loro favore. Manca, comunque, un leader, un attore forte che li sappia mettere insieme per creare una nuova architettura dell’area. Non può essere Israele, che gioca la sua partita individuale.
HTS sta conquistando territori, ma non sembra essere talmente strutturato da assumere la guida del Paese: che prospettiva ha la Siria in questo momento?
Per la Siria al momento vedo un futuro di instabilità, in cui, se viene fatto fuori Assad, dopo una prima fase di tentativi di dialogo le diverse anime del Paese potrebbero scontrarsi fra di loro. HTS è fortemente ideologizzato, non credo possa costruire un contesto di pace.
Un ruolo egemonico di HTS nel Paese potrebbe aprire un nuovo fronte per Israele? Per Tel Aviv, insomma, cambierebbe il nemico ma la Siria resterebbe sempre un problema?
La presenza in forze di HTS o di milizie islamiste radicali creerebbe problemi non solo a Israele ma anche ad altri Paesi: la Giordania non sarebbe contenta di vedere un Paese come la Siria governato da una milizia di quel tipo. E lo stesso vale per le monarchie del Golfo. I movimenti come HTS sono difficili da manipolare, sono uno strumento che viene utilizzato da tutti, anche se poi rischiano di ribellarsi.
L’ascesa di HTS alla fine, quindi, da chi è voluta?
Dai turchi, dagli israeliani e da tutti coloro che hanno interesse a danneggiare l’Asse della resistenza.
Non c’è, però, un progetto di ampio respiro, sembra più un piano a breve termine per fermare l’Iran ma senza immaginare come rilanciare la Siria. È così?
Esattamente. Non c’è un progetto di lungo termine. La confusione regna sovrana come prima.
(Paolo Rossetti)
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