E alla fine Leonardo Caffo è stato condannato in primo grado dal tribunale di Milano per maltrattamenti alla ex compagna. Il pubblico ministero Mila Milli nella requisitoria ha tratteggiato la figura di una persona che, oltre al danno della violenza, avrebbe continuato a screditare la vittima, allo scopo di ripulire la propria immagine. Le successive dichiarazioni di Caffo, che continua a rivendicare la propria innocenza e ad affermare che non avrebbe picchiato nessuno, sembrano confermare questa immagine.
Leonardo Caffo è lo scrittore e filosofo invitato da Chiara Valerio alla Fiera della piccola e media editoria di Roma per una conversazione pubblica con lui. Quando si è sparsa la notizia del procedimento in corso per violenze, la cui sentenza era tra l’altro imminente, si è avuta la levata di scudi di tutta l’area attinente al femminismo nostrano, alle associazioni politiche per i diritti, agli intellettuali di sinistra. La scelta di Chiara Valerio ha scricchiolato, assieme all’ideatrice; dopo un blando tentativo di afferrarsi alla scialuppa del garantismo e della presunzione d’innocenza prima di ogni sentenza, l’incontro è stato annullato. Troppo forte la pressione dell’opinione pubblica, anzi dovremmo dire dell’opinione social, perché gran parte degli attacchi veniva da lì, con punte di violenze e minacce da prefigurare a loro volta il reato. Infine la condanna.
Confessiamo di non conoscere le opere del filosofo, né che ci sia venuta voglia di leggerle dopo “er fattaccio brutto de Roma”, per dirla alla Carlo Emilio Gadda. Nonostante la giovane età (classe 1988) l’opera di Caffo è già vasta e variegata. Ha scritto libri su temi attualissimi, come la situazione e il destino dell’homo sapiens nella crisi della modernità; ha condotto programmi su Rai 3, insegnato in università e accademie, alla Scuola Holden di Alessandro Baricco, è stato grande amico di Michela Murgia che, a sentir lui, gli avrebbe dedicato la Fiera di Roma. È, o forse è meglio dire “era”, molto stimato a tutti i livelli: per dirne una, Maurizio Ferraris, professore ordinario di filosofia teoretica all’Università di Torino, lo considera(va) “il più promettente, versatile e originale tra i giovani filosofi italiani”. Ha scritto sul Corriere della Sera, sul Manifesto, su l’Espresso ed è stato pubblicato dall’Einaudi.
Ora non si sa che fine farà la sua carriera. Certamente tutto il milieu intellettuale che lo stava incoronando d’alloro (si ricordano anche sue partecipazioni a trasmissioni come Tagadà e Porta a Porta) è evaporato. Il quotidiano Repubblica, il cui stand campeggiava misteriosamente alla Fiera di Roma, che avrebbe dovuto essere degli editori indipendenti, titola con sarcasmo la pagina su Caffo, mettendogli in bocca una sprezzante frase di Alberto Sordi: “Io so’ io e voi non siete un Caffo” in cui come si vede il giornalista gioca in modo un po’ facile e molto banale sul cognome: lo stile, si sa, è merce rara, come si vede anche nel commento alla ripresa di un’intervista rilasciata da Caffo a un quotidiano concorrente: “Parla il pensatore condannato in primo grado per violenza domestica e non si capisce bene cosa vuole dire”. Colpisce, tra l’altro, una dichiarazione rilasciata da Caffo in quell’intervista, successiva alla sentenza: “Perché c’è una vera ragione per cui si attacca un filosofo: non per le sue idee, ma per i suoi affari personali”. E quando il giornalista gli chiede qual è, aggiunge: “La cancel culture dilagante”.
Non è possibile ridurre una questione così complessa a una spiegazione univoca. Certo, il mondo del wokismo italiano di murgiana ascendenza, quello che ha tradotto la cultura della cancellazione distillata nelle università liberal americane (e infatti la denominiamo in inglese) è ormai la dittatura del pensiero che tiene in ostaggio la cultura italiana, dalla Fiera di Roma al Premio Strega (come ha dimostrato Simonetti dell’università di Losanna) col sospetto che, Dio non voglia, allunghi l’ombra della sua pressione persino sulle sentenze dei tribunali.
Se i gradi successivi di giudizio confermeranno il fatto, il filosofo dovrà giustamente scontare la condanna. Non perché è un mostro, o un adepto del patriarcato, ma perché la violenza contro un’altra persona, donna o uomo, adulto o bambino, è un gravissimo reato contro l’umanità intera e basta. Vedremo se, scontata l’eventuale pena, la sua figura intellettuale tornerà in voga. Vorrà dire che avrà avuto le spalle ben coperte da una protezione in alto loco nella cultura dominante. Protezione che per ora è svanita nel vuoto di un assordante silenzio.
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