“Quando si tratta di un paesaggio, io amo quei quadri che mi fanno venir voglia di entrarci dentro per andarci a spasso”: queste le parole di Pierre-Auguste Renoir, tra i massimi esponenti dell’impressionismo. Ecco, per molti visitatori della bella mostra Paesaggi. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo, aperta a Novara fino al 6 aprile 2025, il desiderio sarà proprio questo: immergersi nelle tele di Filippo Carcano o di Segantini e degli altri pittori presenti. Infatti l’itinerario, proposto dall’appassionata curatrice dell’esposizione Elisabetta Chiodini, non può che catturare con la sue 80 opere anche l’osservatore meno preparato, per il quale magari qualche nome di artista nostrano o d’Oltralpe dell’Ottocento e del primo Novecento potrà risultare poco noto. Ma le esaurienti spiegazioni delle nove sezioni e la qualità dei dipinti, anche di grandi dimensioni, provenienti da collezioni pubbliche e private, valgono davvero la visita alla vivace e industriosa città di provincia piemontese.
Scoprire l’evoluzione della pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia, con qualche incursione in Svizzera, in un periodo come quello dalla metà del XIX secolo fino agli inizi del XX – non così celebrato in Italia, viste le novità dirompenti delle correnti artistiche francesi emergenti – è una scelta coraggiosa e diremmo in verità necessaria. Scorrendo le opere esposte, infatti, non solo riconosciamo e apprezziamo le nostre terre, i nostri laghi, le nostre montagne e anche i nostri tipici paesaggi urbani, ma ci rendiamo conto che quel mondo ci appartiene e che a buon diritto può essere ammirato in tutto il suo splendore e valore artistico.
Accanto alla semplice e pura natura, però, una tela come quella di Giovanni Migliara, Esterno di città con ponte illuminato da chiaro di luna ed officina da maniscalco, mette in rilievo la presenza dell’uomo nel paesaggio; confermando quello che osserverà più avanti lo scrittore veneto Giovanni Comisso: “L’uomo si forma e cresce in rapporto al paesaggio, è uno specchio del paesaggio”. Un rapporto evidente anche nella scena rurale del quadro imponente di Carlo Pittara Le imposte anticipate, che con il campo lungo della visione fino all’orizzonte basso e lontano e la tenue luminosità ci racconta più di quanto si veda della fatica contadina.
Nelle sale successive allestite al Castello si scivola presto sulla “pittura di impressione” quando, nella prima metà degli anni Settanta dell’Ottocento, la pittura di paesaggio s’allontana definitivamente dalla cosiddette scene di genere per confrontarsi con il vero, addirittura scegliendo di lavorare en plein air. L’intento è rappresentare al meglio “l’impressione del vero”, per esempio con la tela delicatissima L’isola dei pescatori di Filippo Carcano, dai riflessi autentici sulle acque del Lago Maggiore. Seguono due begli esempi di Naturalismo lombardo: Paolo Sala con il suo Leggendo Praga, in cui il suggestivo paesaggio lacustre coronato dai monti fa da sfondo ad un tema più intimista; e Vespro di Francesco Filippini, con quelle figure femminili che si confondono con il biancore della neve. Pittori questi che, come diversi altri presenti a Novara, hanno seguito i corsi dell’Accademia di Belle Arti di Brera, che aveva una cattedra di pittura del paesaggio.
Ma ci sono anche scorci del tipico paesaggio urbano milanese, come nel limpido quadro Il Naviglio a ponte San Marco di Giovanni Segantini, con le signore eleganti munite di ombrellino da sole, ritratte dallo stesso autore anche in versione invernale in Nevicata, avvolte nell’umidità soffusa che i meneghini ben conoscono. Forse una certa nostalgia di neve verrà ai visitatori milanesi contemplando anche le tele “imbiancate” di Mosè Bianchi, Colonne di San Lorenzo e La prima neve, una vecchia Milano che sarà presto soppiantata dalle immagini della città moderna dei futuristi e di Sironi.
Il passaggio a quello che è giusto definire un “Impressionismo italiano” si manifesta con le tavole brillanti di Leonardo Bazzaro, come I miei fiori, nell’abbagliante luce estiva, o Passa la funicolare, con le delicate figure femminili dalle forme quasi dissolte, che si affacciano sul Lago Maggiore. Opere frutto dello studio attento en plein air, per cogliere pienamente la luce che filtra dalla vegetazione, i cui riflessi, con diverse gradazioni cromatiche, si rispecchiano sugli abiti e sul terreno.
Ma è l’alta montagna che ci lascia davvero incantati, con il luminoso Mezzogiorno sulle Alpi, ancora di Giovanni Segantini (quadro simbolo della mostra novarese), in cui la tecnica divisionista dell’artista sembra far vibrare l’aria limpidissima in cui si staglia immobile la contadina in primo piano con il cappello. E ci suggerisce una meditazione Giuseppe Pellizza da Volpedo, cui è dedicata l’ultima sala dell’esposizione, nella grande tela Sul fienile, così buia nella scena di morte in primo piano – pur confortata dal sacramento dell’Eucarestia somministrato al moribondo – e in contrasto luminosissima sullo sfondo, grazie al cielo azzurro, in cui spiccano i tetti e il verde delle chiome degli alberi. Ci accompagna nella visione la nota dello stesso Pellizza: “E mentre fuori dardeggia il sole, apportatore di vita, qui nel fienile si muore, mentre fuori tutto è luce qui nel fienile tutto è oscurità, mentre fuori tutto va trasformandosi e prendendo vita qui tutto si dissolve”.
Un principio di incursione nel clima simbolista è documentato dall’opera L’amore alla fonte della vita, sempre firmata da Segantini: l’ambientazione è scrupolosamente reale, mentre le figure rimandano all’idea dell’amore. Ci avviciniamo così alla novità delle cosiddette “visioni”, come quella di Alba in alta montagna di Emilio Longoni, che ci conferma la suggestione potente che il paesaggio (soprattutto quello montano) può operare nell’artista e anche in noi.
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