Fuori dalla Siria ci sono 7 milioni di profughi, che si aggiungono ai 6 milioni di sfollati interni. Germania (ed Europa), Turchia e Libano vogliono il loro rientro, anche se il Paese adesso non ha neanche gli occhi per piangere. Il problema, però, spiega Mauro Indelicato, giornalista di Inside Over e Affari Italiani, oltre che docente di Unicusano, può anche essere quello contrario, cioè che la ricostruzione sia così difficile da creare un’altra ondata di migranti. Per questo Ursula von der Leyen ha appena dato un miliardo a Erdogan, per tenersi i siriani che ha già. E per lo stesso motivo, probabilmente, la UE sosterrà il rilancio della Siria, la sua ricostruzione. Su tutto grava l’incognita relativa alla capacità del nuovo governo di uscire dalla crisi. Il nuovo premier, Mohammed al-Bashir, intanto, sta invitando i profughi a rientrare: vuole ingraziarsi la comunità internazionale perché tolga le sanzioni contro la Siria e sborsi un po’ di soldi in più per sistemare il Paese.
L’ONU stima il rientro in Siria di un milione di profughi entro giugno. Quanti sono i siriani fuggiti all’estero?
In tutto si parla di 7 milioni di siriani all’estero, di cui approssimativamente 4 in Turchia, uno in Libano e gli altri tra i Paesi del Golfo e l’Europa, soprattutto in Germania, dove sono impiegati come medici e infermieri in molti ospedali. La Merkel li aveva chiamati proprio per questo.
La Germania è stata tra i primi Paesi che ha annunciato di voler riprendere i contatti con la Siria. Uno dei motivi è questo?
I tedeschi sono in campagna elettorale; l’idea di presentarsi con il foglio di via per migliaia di siriani alletta un po’ tutti i partiti, anche l’SPD, alla ricerca disperata di consensi. Per questo la Germania, insieme all’Austria e alla Danimarca, è interessata a far rientrare il maggior numero possibile di profughi. Oltre ai 7 milioni che sono all’estero, comunque, ci sono 6 milioni di sfollati interni. Su una popolazione che nel 2010 era di 24 milioni di abitanti, 13 milioni sono profughi.
La Turchia vorrebbe farli rientrare, così come il Libano, e anche se dovesse rimpatriare solo il milione di persone di cui parlano le Nazioni Unite, per un Paese distrutto dalla dittatura, dalla guerra e dal terremoto non sarebbe facile accoglierle. Come si può risolvere il problema?
La cifra dell’ONU mi sembra molto ottimistica, anche perché parte dal presupposto che da qui a giugno la Siria sia riappacificata. È prematuro prevedere una situazione stabilizzata in sei mesi. Ma se davvero dovesse succedere sarebbe un bel problema: se per Germania e Turchia non è stato facile far fronte all’esodo dei siriani negli anni scorsi, il controesodo in un Paese che cerca di riprendersi ed è ancora interessato da un conflitto rappresenta una sfida che Damasco, in questo momento, non è in grado di raccogliere.
Oltre che per la Siria, quello dei profughi è un problema geopolitico?
Lo è per Turchia, Germania ed Europa. I turchi vedono negli oltre 3 milioni di rifugiati siriani un pericolo per la propria economia: in alcune città nei mesi scorsi sono stati organizzati dei veri e propri pogrom contro di loro. Per Erdogan è un problema politico molto importante. Il controesodo, però, è difficile da organizzare: in Siria mancano abitazioni, le città sono distrutte e manca soprattutto la pace, perché non si è ancora finito di combattere. Una questione che non può essere risolta nel giro di pochi mesi.
Come mai, allora, il governo provvisorio di Mohammed al-Bashir invita i profughi a rientrare?
Ci sono due motivi: per un discorso di immagine – sconfitta la dittatura dopo anni di lotta, vengono richiamati i cittadini dall’estero come segno che la situazione è migliorata – e per una ragione di natura economica. I nuovi governanti hanno visto quanto ha fruttato alla Turchia e ad altri Paesi avere profughi al loro interno. Al-Jawlani potrebbe aver fatto un calcolo: se facciamo rientrare i nostri connazionali, magari riusciamo a convincere la comunità internazionale a togliere le sanzioni e a darci un po’ di soldi per mantenerli e per la ricostruzione.
La von der Leyen ha appena dato un miliardo di euro a Erdogan proprio per assistere i siriani in Turchia. È un problema serio anche per l’Europa?
Von der Leyen era ministro della Difesa in Germania quando, tra il 2015 e il 2016, ci fu il grande esodo siriano verso il Nord Europa. Ricorda bene quanto è stato difficile gestire questo enorme flusso di rifugiati: probabilmente questo la spinge ad alzare subito il muro per evitare un altro esodo. In attesa che la situazione si chiarisca, si danno a Erdogan i soldi per trattenere i profughi.
La UE, quindi, in realtà, ha paura di una nuova ondata di migranti?
Al di là dei numeri dell’ONU, si parla di un rientro in Siria, ma è molto forte il pericolo opposto: un’ulteriore uscita di profughi dalla Siria, proprio perché la situazione non è stabile. Siamo in un Paese in cui l’energia elettrica viene erogata per un paio di ore al giorno.
Tutto questo potrebbe indurre la comunità internazionale a investire in Siria, per stabilizzare il Paese ed evitare altre ondate di migranti?
Lo si doveva fare diversi anni fa. Non è successo anche per responsabilità di Assad. Un Paese instabile, povero e senza strutture è una “bomba” pronta a esplodere, non solo dal punto di vista dei migratorio, ma anche da quello geopolitico. Mi auguro che stavolta la comunità internazionale possa avere un ruolo più propositivo per favorire la ricostruzione.
Chi ha più interesse a rilanciare la Siria e chi ha più paura che questo non succeda?
In tutti e due i casi, la Turchia: da un lato spera in una Siria stabile per evitare nuovi profughi e per dare una possibilità di rientro a chi è fuggito; dall’altro, Erdogan ha un’enorme paura che il suo sostegno al nuovo corso possa diventare un boomerang nel lungo periodo se l’evoluzione della situazione non sarà quella auspicata.
Per ricostruire il Paese ci vuole una sorta di piano Marshall, ma i soldi chi ce li mette?
Il problema non è tanto chi ce li mette, ma chi se li intasca: sono stati fatti piani per la ricostruzione dell’Afghanistan, dell’Iraq e altri in seguito a disastri naturali, spesso però si infrangono sul muro della corruzione e dell’instabilità politica. I finanziamenti si possono trovare, ma il problema è chi li gestisce per farli arrivare dove effettivamente servono.
A sborsare saranno Turchia, Qatar e UE?
L’Europa ce li metterà per evitare altri migranti, ma anche perché la ricostruzione vuol dire possibilità di lavorare per le imprese. È un’opportunità economica importante. Accanto alla Turchia e alle petromonarchie, ci sarà pure la UE.
(Paolo Rossetti)
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