L’uomo che vive di fede, rimanendo “in Cristo” e nel Suo popolo, è il fermento della Storia. Contro ogni riduzione della fede a spiritualismo e spiritualità, don Francesco Ricci (1930-1991) ha fatto esperienza di questo modo autentico dell’essere cristiano e l’ha insegnato a molti, come attesta la recente pubblicazione di una raccolta di sue omelie (1973-1988), dal titolo Nelle pianure sconfinate della storia (San Paolo, Milano 2024).
Il 3 aprile 1983 a Forlì, nella chiesa di San Filippo Neri, disse che il Sacramento del Battesimo inserisce l’uomo nel “tempo nuovo di Cristo” e gli affida “il compito supremo che l’uomo possa ricevere: il compito della redenzione del tempo della sua vita e del tempo della vita di tutti noi, quel tempo che nel nostro linguaggio chiamiamo ‘Storia’. Nasciamo con il compito di redimere il tempo umano e di farlo diventare storia, storia della salvezza, storia della redenzione, storia del manifestarsi della gloriosa potenza di Cristo che distrugge la morte e afferma la vita. È misurandoci con questo compito che noi costruiamo la nostra dignità umana, poiché tale è la dignità che riceviamo dal battesimo e dalla fede, che ci fa partecipi e costruttori del tempo di Dio nella storia degli uomini” (ivi, p. 116).
Nell’appartenenza al popolo di Dio il battezzato diventa umile agente di storia, misteriosamente partecipe dell’unica storia, la Storia santa. E questa appartenenza si traduce per lui, lentamente ma irresistibilmente, in edificazione, in collaborazione e adesione all’opera di Cristo: “C’è un indice infallibile, una garanzia sicura dell’autenticità della fede, del compimento della volontà del Padre, della verità della vita: che la vita sia costruzione della Chiesa. È questo che rivela il senso vero della morte a cui ciascuno di noi è chiamato nell’imitazione di Cristo. Non si può, infatti, consumare la propria vita nell’obbedienza, se non si può concepire e vivere la verità della propria vita come costruzione della Chiesa, dimenticando se stessi, rinnegando se stessi. Non puoi più essere progetto, scopo a te stesso, senso a te stesso, padrone di te stesso, ma dipendi in modo assoluto senza scampo, in ogni tuo particolare, in ogni tuo giorno, in ogni tuo momento, in ogni tuo sentimento, in ogni tuo rapporto. Dipendi, perché tutto sia vero, da quel progetto di Dio che fa di te un costruttore del Suo regno, cioè della Sua Chiesa nel mondo. Tutto ciò che non è inteso, progettato, voluto, posto, operato nella rigorosa obbedienza a questo unico progetto di Dio è menzogna, cioè non verità, cioè non realtà, inconsistenza, non vita, morte. Tutto ciò che non è concepito e posto come costruzione della ‘comunione visibile’ nella storia è inconsistente, è fatuo, è solo apparentemente vivo, è sogno, illusione, chimera, vanità, di cui non resterà nulla. Perché resterà solo ciò che è stato incorporato nella vita del Morto e Risorto” (ivi, pp. 18-19; omelia del 10 aprile 1973, pronunciata a Bologna per gli studenti universitari di Comunione e Liberazione [CLU]).
Il dimenticare, il rinnegare se stessi, il non voler essere più progetto a se stesso non è alienato, stranito, estraniato esser “fuori di sé” (escapismo), ma è precondizione di autentico ritorno alla realtà – “ma la realtà è Cristo” – e, nell’incontro con Lui, vera reintroduzione nella realtà tutta intera e vero ritrovamento di sé (ma solo come sovrappiù non cercato intenzionalmente): “Il nostro vero io noi lo incontriamo solo quando incontriamo Colui nel quale la nostra verità è già accaduta, è già compiuta, è già piena, è già massimamente reale: Gesù Cristo” (ivi, p. 234; omelia del 17 febbraio 1988).
Sacerdote forlivese animato dall’amore ardente di Cristo, don Ricci fu legato sin dai primi anni Sessanta da profonda amicizia con don Luigi Giussani, che a sua volta lo chiamò “il primo e più grande compagno di cammino”. Instancabile viaggiatore, uomo dell’incontro con uomini e cristiani di tutto il mondo – affinché la parola di Dio corra fino agli estremi confini della terra e molti siano avvinti e vinti da Gesù Cristo –, dall’Europa dell’Est al Sudamerica, poi fino in Giappone, Corea del Sud, Hong Kong e Filippine. Fonda il Centro Studi Europa Orientale (CSEO), incontra già nel 1964 in Polonia l’Arcivescovo di Cracovia, un certo Karol Wojtyła, del quale fa tradurre per primo in Italia gran parte degli scritti filosofici e letterari. Nel 1982 dà avvio alla rivista Il Nuovo Areopago, “la prima rivista dall’Atlantico agli Urali”, nata dopo tre lustri di incontri con amici nell’Europa dell’Est, che conduce alla “sorprendente scoperta di una realtà di pensiero e di azione straordinariamente vicina all’uomo, straordinariamente sensibile all’uomo e al suo problema umano e anche straordinariamente sensibile verso l’uomo e verso la sua umana esigenza” (intervento di Ricci al convegno intitolato Il Nuovo Areopago, Meeting di Rimini, 27 agosto 1982). Sorprende, in don Ricci, l’intensità del suo “intelletto di fede” e del conseguente esercizio del suo giudizio di ragione, la sua profonda intelligenza della realtà e della Storia alla “luce della fede”, “secondo l’intelligenza che viene a noi dal mistero di Cristo che illumina la coscienza di ogni uomo” (Nelle pianure sconfinate della storia, p. 57). In questo (e non solo) egli è autentico figlio e discepolo di san Giovanni Paolo II, il quale nell’Enciclica Fides et ratio (n. 79), rifacendosi a sant’Agostino, insegna: “Lo stesso credere null’altro è che pensare assentendo […] Chiunque crede pensa, e credendo pensa e pensando crede […] La fede se non è pensata è nulla” (Agostino, De prædestinatione sanctorum, 2, 5).
“La nostra fede è la nostra vita”, scriveva dal carcere il cardinale e vescovo cattolico romeno Iuliu Hossu (1885-1970). La vita di fede di don Ricci è davvero l’“avventura di un uomo vivo” dentro la Storia santa, che ricevette il suo senso compiuto – come significato e direzione – in “un momento nel tempo / ma non come un momento del tempo, / un momento nel tempo ma il tempo fu fatto attraverso quel momento: / perché senza il senso non c’è alcun tempo, e quel momento di tempo diede il senso” (Th. S. Eliot, Choruses from “The Rock”, VII, 1934). Come meditazione semplice e al contempo profonda del Mistero del Natale del “Principe della Pace” (Isaia 9, 5), del suo triplice senso rimemorativo, attuale, prolettico, cioè suscettibile di futuro, perché “la vita è futuro” (Edmond Jabès), consigliamo la lettura dell’omelia di don Ricci rivolta a bambini e adulti il 25 dicembre 1983 a Forlì nella chiesa di San Filippo Neri (Nelle pianure sconfinate della storia, pp. 169-172) e reperibile anche online nel sito donfrancescoricci.it.
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