Mi è capitato nei giorni scorsi di trovare due citazioni che mi hanno molto colpito, e che sono legate al Natale in modo alquanto misterioso e curioso.
La prima è tratta da una raccolta di testi inediti, da poco tradotti in italiano, di Karol Wojtyła e suona così: “O Signore, ti ringrazio per la grazia dello stupore, … l’essere umano ha il suo fondamento nel Natale”.
Lo stupore per l’essere umano è qualcosa che forse abbiamo dimenticato, oppure, inondati da tragedie, efferatezze sempre più complesse e crudeli, che vedono l’essere umano come protagonista più nel male che nel bene, ci fanno piuttosto provare terrore, paura, o, forse, anche disperazione. Eppure la nascita di un essere umano non riesce, fosse anche solo per un momento, a trattenere il fremito di stupore per qualcosa che avviene e che erompe al di là di ogni possibile aspettativa. Figuriamoci la nascita di Dio, non di un essere mitico, di un “mostro”, di un idolo, ma di Dio, dell’Essere per eccellenza: “Egli solo è”, dice l’abate del monastero in una famosa opera teatrale, il Miguel Mañara. E con queste parole questo monaco dice una verità profondissima: perché Dio non solo “ha” l’essere, ma “è” l’essere, noialtri lo abbiamo “solo” per partecipazione, perché ci è donato l’essere, per la misericordia, per l’amore gratuito di questo Dio.
Ecco allora che, se i nostri cuori non sono proprio del tutto impietriti, nasce lo stupore per quei lampi di luce, di bontà, che illuminano la notte oscura; sgorga, come lacrima di commozione, lo stupore di cui parla il cardinal Wojtyła, quando afferra, coglie quasi al volo, che ogni nascita, ogni essere umano va a pescare le sue radici in quella nascita unica nel tempo e nello spazio: la nascita, l’irruzione dell’Essere nella storia, l’ingresso dell’infinito nel finito, che porterà un finito (l’essere umano) nel cuore dell’amore infinito, nel cuore della Trinità stessa, questo è uno stupore di cui si stupisce perfino Dio, direbbe il buon Péguy.
E qui veniamo alla seconda citazione. È presa da un’intervista a un altro cardinale, Joseph Ratzinger; è di cinquant’anni fa ed è stata da poco pubblicata: “Con quello che è accaduto 1950 anni fa, è stato posto in essere un presente che permane e che continua a generare speranza”. Anche qui a dominare è lo stupore, non un’analisi. Come si fa a non stupirsi del fatto che quel Bambino, bisognoso di tutto, esposto ad ogni pericolo e persecuzione abbia “inventato” un’arma così debole e invincibile allo stesso tempo, come è un “presente che permane”? Come fai a non stupirti, quando dalle macerie della storia (e in questo “l’essere umano” diviene sempre più raffinato, purtroppo!), “dentro” le macerie della storia, e non solo dopo, quando saranno passate, si vede riemergere un presente che permane. E non è un videogioco, non è l’ennesima trasformazione sempre più sofisticata del “terminator” di turno. No, è “quel” mistero ineffabile del Natale che si ripresenta, sempre nuovo, sempre “presente che permane nella storia”.
Mi ha colpito che papa Francesco abbia posto l’Anno Santo, che comincia proprio oggi, a Natale, nell’orbita di un pellegrinaggio che coinvolge tutto l’universo creato per disseminarlo di fiammelle, stelle di speranza: “Pellegrini di speranza”. Sì, Dio ci stupisce proprio, a Natale, quel “presente che permane” genera speranza, dà vigore al nostro povero essere, stremato, sfinito. E questa unica speranza allora sì, ri-genera il nostro essere: “nell’essere Tu fammi camminare, fammi crescere e mutare”, recita un stupenda canzone di Adriana Mascagni.
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