Camilla Mancini, figlia del noto allenatore di calcio, ha deciso di condividere la sua storia di vita e resilienza. Nata con una paresi al lato destro del volto, Camilla ha parlato per la prima volta di questa condizione due mesi fa. Ora, a 27 anni, ha scelto di raccontare la sua esperienza in un libro edito da Mondadori, “Sei una farfalla”. Nel romanzo, affronta non solo le difficoltà legate alla sua disabilità, ma anche quelle derivanti dal portare un cognome così importante nel mondo del calcio.
In attesa dell’uscita del libro, Camilla ha concesso un’intervista a cuore aperto al settimanale Chi, in edicola oggi, 8 gennaio. Durante l’intervista, ha condiviso aneddoti personali, rivelando le insicurezze vissute durante l’adolescenza. “Da adolescente mi facevo le foto a metà”, ha raccontato, spiegando che tendeva a nascondere il lato destro del volto colpito dalla paresi. Questo comportamento innervosiva i suoi genitori, che cercavano di spronarla con affetto: “Devi farti le foto dritta, sei bellissima”. Con il tempo, Camilla ha capito una grande verità: “Più ti nascondi, più accentui il difetto.”
Camilla Mancini a cuore aperto: il bullismo per la paresi al volto e il rapporto con papà Roberto
Nonostante il sostegno ricevuto in famiglia, Camilla Mancini ha dovuto affrontare momenti difficili, soprattutto a scuola. Durante l’infanzia, è stata vittima di bullismo da parte dei compagni di classe. “A sette anni i miei compagni di scuola mi dicevano che non potevo giocare con loro, che avevo la bocca storta. Fino a quel momento non sapevo di essere diversa. Io mi guardavo allo specchio e quella ero io”, ha raccontato a Chi. Quelle parole l’hanno segnata profondamente, ma grazie a un percorso di terapia, è riuscita pian piano ad accettarsi e a guardarsi allo specchio con occhi nuovi.
Camilla ha poi parlato del rapporto con il padre, Roberto Mancini. Tra loro, la relazione non è sempre stata semplici, complicate dalla frequente assenza del padre a causa del suo lavoro: “Da adolescente l’avrei voluto più presente”. Con il tempo, però, Camilla ha imparato a perdonarlo e a comprenderlo: “Poi ho capito che il lavoro è lavoro e che essere lontani fisicamente non vuol dire necessariamente essere lontani con il cuore”. Portare un cognome così importante, tuttavia, ha rappresentato un’altra sfida per la 27enne: “Mi sono chiesta: ‘Chi sono io al di là di questo cognome?’ Spesso mi sono domandata se le persone si avvicinassero a me perché ero Camilla Mancini o semplicemente Camilla”.