Il 2025 della Bce è iniziato secondo le attese: nel corso della prima riunione del 30 gennaio scorso il Consiglio direttivo ha ridotto i tassi di interesse di venticinque punti base attestando così i tassi al 2,75%.
Si è quindi scesi sotto la soglia del 3% nonostante secondo gli ultimi dati relativi al mese di gennaio 2025 l’inflazione dell’area Euro abbia segnato una crescita del 2,5% rispetto al 2,4% di dicembre e al 2,2% di novembre. Questo incremento era comunque atteso dal momento che rifletteva i forti cali dei prezzi dell’energia usciti dal calcolo dei dodici mesi precedenti oltre al fatto che in alcuni settori, come quello dei servizi, i prezzi erano ancora alti e, insieme ai salari, si stanno adeguando con notevole ritardo rispetto al passato incremento dell’inflazione. Rimangono però dei rischi al rialzo per il carovita collegati alle tensioni geopolitiche che potrebbero far aumentare i prezzi dell’energia e i costi di trasporto nel breve termine.
Il mercato del lavoro nell’area euro si è mantenuto sostanzialmente solido con un tasso di disoccupazione al 6,3% rilevato nel mese di dicembre 2024 e segnando un leggero incremento rispetto al 6,2% di novembre scorso e in diminuzione rispetto al 6,5% di dicembre 2023, ma i primi dati Eurostat relativi al quarto trimestre 2024 hanno evidenziato una crescita stagnante per l’area Euro, addirittura negativa per Germania e Francia (rispettivamente -0,2% e -0,1%): in tal senso la diminuzione del costo del denaro dovrebbe stimolare i consumi e gli investimenti insieme alle esportazioni che sosterrebbero la ripresa a fronte dell’aumento della domanda mondiale.
Tuttavia, i rischi geopolitici dovuti alla guerra tra Russia e Ucraina, al conflitto in Medio Oriente e alle tensioni commerciali internazionali dovute alle tariffe doganali introdotte dagli Stati Uniti rischiano di ostacolare la crescita dell’area Euro.
Proprio su quest’ultimo punto, rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa rispetto agli effetti dei dazi e se la politica monetaria della Bce debba o meno reagire tempestivamente, la Presidente Christine Lagarde ha precisato che verranno prese delle decisioni quando ci saranno dati certi e un quadro chiaro della situazione, ma che certamente i dazi applicati dall’Amministrazione Trump avranno un impatto globale negativo.
Il Consiglio direttivo è comunque convinto che l’inflazione stia continuando a svilupparsi sostanzialmente in linea con quanto previsto e soprattutto che nel corso del 2025 si arrivi all’obiettivo del 2%. La Lagarde ha anche voluto ribadire nuovamente che non è stata intrapresa una rotta prestabilita e che le decisioni sui tassi di interesse dipenderanno dai dati economici e finanziari e dall’intensità della trasmissione della politica monetaria all’economia reale.
Diverso approccio è stato adottato dalla Fed nella prima riunione del 2025 tenutasi il 28 e 29 gennaio scorsi: il presidente Jerome Powell ha comunicato di aver lasciato i tassi invariati al 4,5% precisando più volte di non avere fretta nel prendere decisioni per effettuare degli aggiustamenti dei tassi considerando che secondo le ultime rilevazioni relative al mese di dicembre 2024, l’inflazione Usa ha segnato una crescita del 2,9% in aumento rispetto a quella del mese precedente (2,7%) e comunque distante dall’obiettivo del 2%.
La strategia attendista della Fed va interpretata alla luce di un quadro macroeconomico internazionale sicuramente complesso nel quale non solo le tariffe doganali imposte dagli Stati Uniti rappresentano elementi di volatilità e preoccupazione, ma anche le ulteriori incertezze legate all’Amministrazione Trump in materia di politiche fiscali e migratorie.
Le prossime settimane saranno cruciali per valutare nuovi dati e aggiornare le proiezioni macroeconomiche al fine di supportare le decisioni sia del Consiglio direttivo della Bce in materia di politica monetaria che si riunirà il 6 marzo 2025 che della Fed che si riunirà invece il 18 e 19 marzo.
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