Qualche giorno fa, commentando il salmo, Benedetto XVI ha usato una frase che ha fatto il giro del mondo: «I soldi non sono nulla, solo Dio è eterno».
Il Papa ha rivolto le sue parole a un mondo sconvolto dall’uragano finanziario che si è abbattuto in modo particolare su quell’Occidente “cristiano” che deve il suo benessere e il suo progresso proprio alla storia cristiana iniziata con il monachesimo benedettino, come sempre il Papa aveva detto in Francia a metà settembre, in un meraviglioso discorso sulla cultura.
Oggi, di fronte ad un crisi radicale, vediamo come questo stesso mondo non sappia affrontare la natura profonda di questa crisi, pretendendo di curare la malattia delle banche con le banche, il denaro con altro denaro, la politica economica con altra politica economica: non può, non vuole andare oltre la superficie.
Ci vuole un’altra proposta, un’altra cultura. Nel passare del tempo essa ha preso il nome di “Dottrina sociale della Chiesa” e cioè l’insieme dei documenti di rilevanza sociale che a partire dall’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII si è sviluppato nella Chiesa attraverso il Magistero dei Pontefici e dei Vescovi arrivando ai giorni nostri. Chi voglia affrontare e approfondire questa altra proposta, questa altra cultura può sfogliare il Compendio della Dottrina Sociale, voluto dall’eroico cardinale vietnamita Van Thuan, morto nel 2002, quando era capo del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.
Nei suoi 583 brevi articoli (per circa 300 pagine), ciascuno contenente la proposizione fondamentale seguita da una spiegazione e dai riferimenti testuali, viene dispiegata la straordinaria sapienza della Chiesa “esperta in umanità”. C’è tutto ciò che noi possiamo intuire e conoscere dell’uomo concreto, del suo bisogno, della sua ansia di giustizia e della sua incapacità di raggiungerla, della sua propensione al bene e della sua resa al male.
A fondamento della Dottrina sociale c’è il «disegno di amore di Dio per l’umanità» che attraverso l’avvenimento di Cristo «redime non soltanto la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini»; e dunque così come cambia la persona, cambia anche i rapporti sociali per renderli rispondenti alle esigenze del Regno di Dio. Nei cristiani infatti abita la «fondata speranza che per tutte le persone umane è preparata una nuova ed eterna dimora, una terra in cui abita la giustizia».
La costruzione di questa dimora è affidata alle mani dell’uomo, alla sua libera azione. Un dramma, certo, perché implica istante dopo istante l’adesione dell’uomo alla fede in Gesù («anche oggi pongo davanti a te la vita e la morte», dice la Bibbia), fonte delle scelte, fonte dell’agire. E forse il dramma più profondo dell’esistenza dell’uomo, che faticosamente costruisce e facilmente distrugge.
È proprio della Dottrina sociale proporsi come una continua elaborazione e approfondimento (un “cantiere” la definisce il Compendio): non si troveranno dunque formule e schemi che chiudono e imprigionano la mutevole realtà socio-politica. Non è una ideologia, non è frutto di una analisi sul mondo, e nemmeno di una illuminazione interiore.
Più che un insieme di contenuti, la Dottrina sociale propone un metodo. Un metodo di lavoro e un metodo di costruzione. C’è un centro, che è la persona umana; e ci sono i principi ispiratori dell’azione cristiana (e umana). Vale la pena elencarli: il bene comune, la destinazione universale dei beni (da prendere molto sul serio), la sussidiarietà, la partecipazione, la solidarietà (che è insieme una virtù morale e un principio ordinatore delle istituzioni).
Per agire, da politici, da banchieri, da uomini comuni, non ci sarebbe bisogno di altro, ma all’articolo 583, l’ultimo, il Compendio svela l’ultimo segreto: «Solo la carità può cambiare completamente l’uomo».