C’è un’alternativa al partito della rendita

Nella sala della Regina della Camera dei Deputati, il ddl sul federalismo fiscale ha ottenuto un sostanziale riconoscimento da parte dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, cui aderiscono oltre trecento parlamentari di tutti i partiti, e dal network delle principali fondazioni culturali e politiche del Paese

In una Sala della Regina strapiena, giovedì scorso a Montecitorio, si è svolto il convegno organizzato dall’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà sul tema Federalismo fiscale: la sfida del Paese. È stato un momento di discussione e di lavoro di altissimo livello che ha sorpreso molto chi come il sottoscritto per professione studia la vita delle istituzioni. Erano anni o forse decenni che non accadeva qualcosa di simile nell’Italia del bipolarismo incompiuto e rusticano, della delegittimazione a priori dell’avversario, del manicheismo pronto ad affossare tutto quello che è avvenuto nella precedente stagione politica. Si è assistito, in azione, a un esempio di quel bipolarismo mite che l’Intergruppo per la Sussidiarietà aveva messo a tema due anni fa. Il confronto tra maggioranza e opposizione, infatti, è avvenuto mettendo da parte l’ideologia e analizzando con serietà e precisione i punti fondamentali del provvedimento sul federalismo fiscale approvato dal Governo. Su questo disegno di legge è stato espresso un sostanziale apprezzamento, concordando sulla necessità della riforma ed entrando nel merito, finalmente in modo puntuale e costruttivo, sulle singole soluzioni, anche evidenziane criticità e possibili correzioni. Un dialogo costruttivo e di alto livello tra personalità politiche di prim’ordine come Gianfranco Fini, Renato Schifani, Raffaele Fitto, Linda Lazillotta, Enrico Letta, Vannino Chiti e molti altri.



Il grande assente all’evento presieduto da Maurizio Lupi a nome dell’Intergruppo e organizzato insieme al network delle principali fondazioni culturali e politiche del Paese è stato uno solo: l’ideologia; più precisamente quell’ideologia politica incapace di dialogo e di qualsiasi gratuità che non sia il proprio, meschino, interesse di parte, o addirittura personale, senza nessuno spazio dato alla considerazione del bene comune. Da questo punto di vista, all’interno dell’Intergruppo si è aperta la possibilità di una nuova stagione di lavoro, probabilmente perché l’Intergruppo – il cui collante è la consapevolezza che la sussidiarietà è la chiave per la modernizzazione del Paese – rappresenta il contesto ideale, anche per la qualità delle persone che vi aderiscono, per accompagnare il lavoro parlamentare sul disegno di legge sul federalismo fiscale, che si presenta come una riforma bipartisan che porta a sintesi – come afferma la relazione di accompagnamento – i lavori degli ultimi anni e i contributi elaborati dalle Regioni, dagli Enti locali e dallo stesso governo Prodi. È certo un momento delicato, perché in Italia con questa riforma s’inizia a scrivere la storia del federalismo vero, destinato a mettere fine a quel costume dello scaricabarile delle responsabilità che ha caratterizzato in particolare gli ultimi anni. La riforma del federalismo fiscale permetterà, invece, di imputare le responsabilità con chiarezza. In Italia ci sono – l’ho denunciato spesso, ma ripeterlo è utile – troppe differenze ingiustificate, basta leggere le relazioni della Corte dei Conti: non è concepibile che una sacca per le trasfusioni costi in Calabria quattro volte di più di quanto costa in Lombardia o che una tac costi in un alcune parti del Paese 800 euro e in altre 500, o ancora che la spesa pro capite per bambino negli asili nido a Roma sia di 16000 euro e 7000 a Modena, che eppure è un modello premiato a livello internazionale.



Non si tratta in questi casi di gap strutturali o altro: sono solo differenze ingiustificate che poi ricadono sulla fiscalità generale, cioè sui contribuenti. Un recente studio di Unioncamere Veneto ha dimostrato come negli ultimi anni il residuo fiscale del Nord (la differenza tra quanto si paga in imposte e quanto ritorna in forma di spesa pubblica) sia aumentato, mentre la produttività del Sud, nonostante il maggiore trasferimento, sia diminuita. I conti non tornano, se non ipotizzando un enorme spreco di risorse che non si traduce in un reale aiuto alle realtà produttive e sociali, ma alimenta inefficienza, sprechi e rendite politiche di vario tipo. Un altro esempio: in Campania arrivano pro capite per la sanità più risorse che in Lombardia, ma la qualità della sanità lombarda ha un indice di qualità di + 0,9 e quella della Campania di -1,4.



In un momento di crisi finanziaria così delicata a livello internazionale, a livello nazionale non ci si può permettere questo disordine interno. Da questo punto di vista, i principi contenuti nel ddl sul federalismo fiscale non sono – come qualcuno ha obiettato – acqua fresca perché mancano i numeri. I principi del disegno di legge sono, invece, rivoluzionari. Lo è quello del passaggio dalla spesa storica (che finanzia servizi e inefficienza) al costo standard (che finanzia solo i servizi); quello della perequazione alla capacità fiscale per le funzioni non riconducibili a sanità, assistenza e istruzione; quello della cancellazione dei trasferimenti statali vincolati e della loro trasformazione in autonomia impositiva, permettendo alle Regioni e agli enti locali di sviluppare proprie politiche fiscali, fino a poter introdurre “leggi Tremonti” regionali di detassazione degli investimenti o a poter riconoscere i carichi familiari o sostituire i bandi che distribuiscono risorse a pioggia con una riduzione della pressione fiscale. Ancora, si stabilisce il principio di premiare i virtuosi e punire gli inefficienti, fino a introdurre il “fallimento politico” per quegli amministratori che portano un ente al disseto finanziario: come un imprenditore fallito non può rimettersi subito a fare l’imprenditore, così un sindaco “fallito” non potrà subito riciclarsi, come invece oggi purtroppo avviene, come parlamentare o euro deputato. Si tratta quindi davvero di una riforma storica per un sistema come quello italiano che questi principi li ha disconosciuti con chiara regolarità.

Il pericolo per la riforma viene invece da un altro “intergruppo” trasversale, il partito della rendita, che nell’inefficienza e negli sprechi, che prima si sono solo accennati, costruisce la propria fortuna.

Questo partito parassitario e trasversale certamente si troverà compatto nel tentativo di evitare o rallentare una riforma come questa, per non perdere i propri privilegi, la propria avversione alla responsabilità e alla resa del conto, nonostante la crisi e la situazione del Paese. Questo partito sarà il vero nemico del federalismo fiscale e dello stesso lavoro dell’Intergruppo per la Sussidiarietà.

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