Almeno due milioni di rifugiati. Due milioni di disperati che fuggono dalla morte e dalla distruzione che i ribelli del generale Laurent Nkunda, leader del Congresso nazionale per la difesa del popolo, stanno diffondendo nel nord del Congo.
L’esercito congolese non fa nulla per proteggere la popolazione civile, anzi contribuisce all’annientamento di un popolo, saccheggiando e distruggendo i villaggi per rendere più impervia l’avanzata dei ribelli verso sud. Questi hanno chiesto di avviare delle trattative dirette con il governo della Repubblica democratica del Congo. Ma Kinshasa non ne vuole sapere. Anche perchè si tratta di un conflitto che evidenzia inimicizie internazionali, soprattutto quella con il vicino Ruanda, accusato di appoggiare indirettamente i ribelli del Cndp.
La gente del Congo è stremata anche dalle epidemie di colera diffuse nel paese a causa di condizioni sanitarie disumane e dall’inadeguatezza del Governo di Kinshasa, che assiste immobile all’ennesimo genocidio africano. Sì, nonostante la guerra sia ripresa da meno di tre settimane, sarà presto un genocidio, non sembra infatti esserci nessuna via di salvezza, né per chi fugge verso l’Uganda e il Ruanda, né per chi si è chiuso in casa e prega che tutto finisca il più presto possibile.
L’ultima speranza siamo noi. L’Unione Europea e la Comunità Internazionale. Per questo il primo pensiero deve essere quello di come aiutare la popolazione. Il Parlamento europeo ha inserito la crisi del Congo tra le urgenze dell’ultima sessione plenaria il 23 ottobre, sollecitando l’esecutivo dell’Unione Europea con una Risoluzione in cui chiede a tutte le parti di tener fede ai propri impegni di tutelare la popolazione civile e rispettare i diritti umani come sancito nell’accordo di pace di Goma e nel comunicato di Nairobi, e di applicarli quanto prima; chiede ai governi della RDC e del Ruanda di porre fine alle recenti ostilità verbali, tornare a un dialogo costruttivo e cessare il conflitto; incoraggia tutti i governi della regione dei Grandi Laghi ad avviare un dialogo allo scopo di coordinare i loro sforzi tesi ad allentare la tensione e a porre fine alle violenze nelle zone orientali della RDC prima che il conflitto si estenda a tutta la regione; chiede al Consiglio e alla Commissione di attuare con effetto immediato un’assistenza medica su ampia scala e programmi di reinsediamento per le popolazioni civili delle regioni orientali della RDC, prestando particolare attenzione all’assistenza a favore di donne e ragazze vittime di reati di violenza sessuale, al fine di rispondere ai bisogni immediati e in attesa della ricostruzione che si renderà necessaria.
Dello stesso parere è l’Alto rappresentante degli Affari esteri Ue, Javier Solana, intervenuto mercoledì 5 novembre durante la riunione della Commissione Affari esteri del Parlamento europeo, secondo il quale «la priorità numero uno» dell’Unione Europea è «quella umanitaria» e «la popolazione civile è ancora una volta la principale vittima della violenza di oggi». Solana ha aggiunto che «nessun intervento di natura militare dell’Ue è stato discusso finora» e che «Onu e unione africana sono gli attori chiave, la conferenza che prenderà parte a Nairobi venerdì prossimo sarà cruciale».
La conferenza di Nairobi di venerdì 7 novembre cui hanno preso parte il Presidente congolese Joseph Kabila, quello ruandese, Paul Kagame, e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, in realtà non nasceva sotto i migliori auspici e si è infatti conclusa con un nulla di fatto, anzi i Ministri degli esteri di Congo e Ruanda si sono rinfacciati le responsabilità del fallimento di ogni tentativo di soluzione diplomatica.
L’Onu svolge un ruolo fondamentale che dovrebbe essere rafforzato. In questo contesto l’Ue deve battersi per preservare il ruolo dell’Onu come istituzione multilaterale, ma il problema non è soltanto di ordine militare, infatti dal 2003 ci sono già 17 mila caschi blu dell’ Onu che non sono in grado di assicurare un minimo di ordine, inadeguati e impreparati all’impressionante escalation militare di queste settimane, nonostante abbiano ricevuto l’ordine di sparare per difendere la città di Goma. Anche per questo Solana ha espressamente chiuso la porta all’invio di rinforzi dall’Ue, dicendo che il problema non si risolve militarmente, ma a livello politico.
Il ministro degli esteri francese Kouchner si è recato nei giorni scorsi a Goma insieme al suo collega britannico David Miliband, ma il tentativo di mediazione risulterà inutile se non verrà chiarito e ridefinito il ruolo che devono avere le Nazioni Unite e le organizzazioni multilaterali nelle crisi internazionali.
Sempre di più si sta cercando di fare in modo che sia l’Unione africana (Ua) ad avere un ruolo privilegiato nell’orientare il dibattito e le situazioni di crisi in Africa. L’obiettivo dell’Europa non deve essere quindi quello di lanciare una nuova iniziativa, ma garantire il migliore sostegno politico possibile all’Onu e all’Unione africana.
Pur essendo un’organizzazione multilaterale recente (sorta nel 2002) e ancora relativamente debole, l’Unione africana negli ultimi tempi, per le ripetute crisi anche belliche dell’Africa, ha avuto più di un banco di prova per proporsi nello scacchiere internazionale, riuscendo ad avere una performance non negativa nella crisi della Guinea nei primi mesi del 2007.
L’esperienza del Ruanda o del Sudan dovrebbero insegnare qualcosa; se la comunità internazionale non si muoverà rapidamente i profughi del Congo saranno sterminati. Occorre agire subito. Affinché la guerra all’Iraq, che così esplicitamente ha enucleato i radicali problemi dell’Ue in politica estera, non sia risultata vana, un’altra occasione è alle porte.
È giunto il momento che l’Europa faccia sentire la propria voce, che unita si alzi per dichiarare il proprio «no» all’ennesimo sterminio di massa coperto da interessi economici e di potere. Dobbiamo fare di tutto per legittimare il ruolo dell’Unione africana, che le permetterà di dialogare anche sul piano politico, aspetto fondamentale se è vero il fatto che da una situazione come questa non si uscirà con una soluzione militare, ma politica.