Nel 1957, quando con mia madre e mio fratello visitai per la prima volta Washington, DC, venendo da Porto Rico dove ero nato, l’autista del taxi che ci portò dall’aeroporto alla casa degli amici di mia madre, di cui eravamo ospiti, era un nero, come la gran parte degli abitanti della capitale degli Stati Uniti. Durante il tragitto, mentre passavamo davanti alle case della Sedicesima Strada, vidi che molte di esse affittavano camere ai turisti, e gli annunci che si susseguivano riportavano tutti la scritta: “Solo bianchi”.

Ora può sembrare sorprendente, ma allora io non avevo nessuna idea di cosa quei cartelli significassero… così chiesi al guidatore, che mi rispose: «Significano che io non posso stare qui con mia moglie e le mie figlie». Proprio in quel momento arrivammo alla casa dei nostri amici: di fronte alla casa c’era un cartello: “Solo bianchi”.

Qualche anno dopo, i cartelli non c’erano più, ma non c’erano più neppure i proprietari bianchi di quelle case, inclusi gli amici di mia madre. Eppure, da quel giorno, mi è sempre stato ben presente che c’era una casa nella Sedicesima Strada con un cartello invisibile che proibiva ai non bianchi di abitare lì: la Casa Bianca. Ma, improvvisamente, il 4 novembre 2008, il cartello è stato strappato.

Non so se il mio tassista di 51 anni fa è ancora vivo. Non posso immaginare che egli abbia mai pensato di poter vedere il giorno in cui quell’ultimo cartello sarebbe stato rimosso. Fino a tempi molto recenti, non avrei pensato di poterlo vedere neppure io.

Per quelli di noi che sono passati attraverso la lotta per i diritti civili (il mio appartamento era nel mezzo di un’area in cui avvenivano spesso manifestazioni che finivano in violenti scontri con la polizia; durante i disordini del 1968 rimasi sotto coprifuoco notturno; ero al Lincoln Memorial in occasione del discorso di Martin Luther King, ecc.), l’elezione di Barack Obama a presidente contiene un elemento che trascende la politica. L’elezione non è stata il risultato di una conversione e pentimento dal peccato di razzismo, è dovuta principalmente alla crisi economica, ma trascende la politica.

Come mi disse un amico il giorno prima dell’elezione: «Io voterò per McCain data la mia opposizione all’aborto, ma pregherò perché vinca Obama». La vittoria di Barack Obama, come di molti altri nella lotta per i diritti civili, è arrivata avvolta nell’ideologia del progressismo americano.

Non è stata il risultato di un ampliamento della ragione generato dalla fede, ma un risultato dell’ideologia. Per questa ragione, non soddisferà i veri bisogni degli afro-americani. Ma è accaduto. È un fatto.

Ora inizia la vera speranza, la speranza che questo fatto possa essere tirato fuori dall’involucro dell’ideologia. Per questo, occorre che avvenga il cambiamento dalla politica utopica alla politica della Presenza.