Che il Pd abbia ridotto la questione educativa di questo Paese al “più soldi!” e che abbia condotto una massiccia campagna – o se ne sia fatto condurre – contro “la privatizzazione” della scuola non meraviglia ormai più. Certo, le forze che lo compongono hanno conosciuto una cultura migliore. In fondo, è stato un ministro della sinistra, Luigi Berlinguer, a dare al Paese la legge n. 62 del 2000, che creava la fattispecie delle scuole “paritarie”: scuole private che diventavano “pubbliche”, a determinate condizioni.
Ma oggi la condensazione di statalismo cattolico-democristiano e vetero-socialdemocratico degli eredi del Pci ha prodotto una regressione: l’idea che la libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie sia un lusso, che lo Stato non può permettersi di finanziare, se non quando le vacche sono grasse.
Ma che dire di un governo “liberale” (sic!) che riduce le scuole paritarie sulla soglia della chiusura? Si tratta solo di incapacità tecnica di governo di una materia complessa o c’è dell’altro? C’è parecchio altro. Non solo, con tutta evidenza, una misconoscenza basilare della condizione reale del sistema educativo in Italia, non solo un malinteso e fatale continuismo con la filosofia manutentiva, conservatrice e minimalista di Fioroni. C’è una ben solida – ahinoi! – cultura politica nazionale. Secondo questa cultura, che unisce la Destra storica, il Fascismo (il Manuale del fascista del 1937 recitava, a mò di catechismo: «Tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato»), un certo cattolicesimo politico e la Sinistra storica, la scuola è stata appositamente costruita quale grande apparato ideologico di Stato e tale deve restare. Solo lo Stato conosce autenticamente il destino dei nostri figli e se ne prende cura. Solo lo Stato garantisce piena cittadinanza ed eguaglianza delle opportunità. Solo lo Stato costruisce la nazione. La persona, le famiglie, la società civile sono fomento di disordine, di incontrollabilità, di irrazionalità delle scelte. La libertà di scelta delle famiglie si può solo tollerare illuministicamente, come si fa con le minoranze.
In tutti i Paesi europei, dall’Inghilterra, alla Svezia, all’Olanda, alla Francia compresa, la libertà di scelta delle famiglie è trattata, anche sul piano finanziario, non come un residuo, ma come l’anima del sistema e il motore dell’innovazione dei sistemi statali di educazione. Nel 1992 il nuovo governo di centro-destra svedese ha introdotto la libertà di scelta della scuola. Dopo decenni di rigido centralismo scolastico governato da una politica socialdemocratica ispirata da criteri di uguaglianza e giustizia sociale tipici del welfare state svedese, i bacini d’utenza furono smantellati e le famiglie furono autorizzate e parimenti finanziate a scegliere la scuola nella quale iscrivere i propri figli, statale o privata che fosse.
Nel 1992, solo l’1% degli allievi della scuola primaria e l’1,7% degli studenti della scuola secondaria frequentavano in Svezia una scuola privata. Nel 2008 la proporzione degli studenti nel settore privato è passata al 9% nella scuola primaria e al 17% in quella secondaria. I socialdemocratici, tornati al potere, hanno preso atto pragmaticamente, perché le famiglie hanno scelto, il sistema ha continuato a esprimere ottime performances, la scuola di Stato ha dovuto innovarsi.
Un governo è liberale se aumenta la quota di libertà per le persone, le famiglie, la società civile. Si dirà: c’è la crisi finanziaria, che sta precipitando in crisi economica, produttiva e occupazionale. Appunto. Da dove si pensa di raccogliere le energie del Paese per rimettersi in piedi, se non partendo dalle libere scelte delle persone, dai ragazzi, dalle famiglie?