Come fu per la presa della cattedrale di Santa Sofia, nel 1453, da parte delle orde turche, quando saccheggiata, privata della immagini sacre e circondata da minareti, venne trasformata in moschea, così anche la vicina isola di Cipro porta su di sé i segni dell’occupazione ottomana.

I cristiani ciprioti vivono ancora con dolore la perdita di numerosi luoghi sacri a loro particolarmente cari. Dal 329, quando con il Concilio di Nicea venne confermata l’autonomia della chiesa di Cipro, quest’isola si professa cristiana. Sul cristianesimo, riconfermato nuovamente dal Concilio di Efeso, si fondano le origini di questo Paese che, dal 2004, è membro dell’Unione Europea: le pareti delle chiese (le chiese dipinte, proclamate dall’Unesco patrimonio dell’umanità, sono soltanto una piccola parte di questo immenso tesoro), le immagini sacre nelle case, i volti e i cuori delle persone testimoniano la devozione e la fede che vivono ancora oggi e che è stata tramandata lungo i secoli.

Dall’assedio di Famagosta nel 1571 – cioè dalla conquista Ottomana dopo lunghe e sanguinose battaglie – la terza isola più grande per estensione del Mediterraneo ha sempre vissuto con conflitto l’invasione turca. Ottenuta l’indipendenza dall’impero ottomano nel 1898, il problema dell’occupazione dell’isola da parte dei turchi si ripropose nel 1974 con lo sbarco sull’isola di soldati che si sono concentrati nella parte a nord del Paese.

I risultati di questo insediamento, rafforzatosi poi nel 1983, sono sotto i nostri occhi: sono oltre 170mila i cittadini ciprioti, che rappresentavano quasi un terzo della popolazione della Repubblica di Cipro nel 1974, a esser diventati profughi nella loro stessa patria, più di 500 chiese, cappelle e monasteri cattolici, maroniti, armeni e ortodossi, sono stati occupati o distrutti.

Dal 1974, anno dell’occupazione militare, fino a oggi la Turchia ha trasferito oltre 160mila coloni nel territorio occupato che si trova nella parte a nord di Cipro. Senza contare che i fedeli cristiani, per secoli, hanno visto soffocare la loro fede attraverso la perdita e la dissacrazione dei loro – dei nostri – luoghi sacri.

La convivenza tra le diverse etnie non si può definire pacifica quando l’una cerca di prevalere sull’altra, quando un credo religioso cerca di sopraffare l’altro, osteggiarlo o, peggio, annullarlo. A testimonianza di questo possiamo ascoltare il grido di dolore dei maggiori esponenti della chiesa cipriota, come di tutti i fedeli che, lungo i secoli, e, in special modo, nei decenni che ci siamo appena lasciati alle spalle, hanno visto espropriate le testimonianze della propria fede.

L’occupazione turca ha cercato di cancellare molte di queste testimonianze visibili del fervore religioso di questo meraviglioso popolo. Ha cercato a più riprese di annullare, con lenti e continui attacchi, più di duemila anni di storia, ma non ha potuto cancellare la fede che è stata tramandata di generazione in generazione che ancora oggi è più che mai viva e presente tra i suoi abitanti. I resti, le macerie, i tentativi di annientamento di queste radici sono i baluardi – e al contempo le prove evidenti – di tale tentativo.

Dal 1974 si è venuta poi a creare una demarcazione, forzata dagli eventi bellici, tra i due diversi culti, acuitasi a causa di una separazione geografica della popolazione. Nella parte sud, la popolazione di etnia greco-cipriota rappresenta il 95% di quella totale, mentre in quella nord l’etnia turco-cipriota rappresenta il 98%. Ciò è dovuto alla deportazione, dalla parte nord dell’isola verso l’area sud, di circa 200mila abitanti greco-ciprioti. Ed è particolarmente a nord che i loro beni sono stati confiscati ed i loro simboli religiosi in gran parte distrutti.

Tutte le più importanti moschee – Keryneia, Lefkkosia, Famagosta, Pafos, Larnaka, Lemesos – inizialmente costruite come chiese cristiane, furono occupate dai turchi e trasformate in luoghi di culto. Ma c’è di più. Quelle che erano le chiese di un tempo, depredate e private della loro sacralità, versano oggi in uno stato di abbandono, o peggio, sono diventate non più luogo di culto, ma musei, hotel, cascinali, palestre. Gli affreschi e le decorazioni, tesori artistici e spirituali, cancellati e deturpati, totalmente o in maniera parziale, sono la prova della decisa volontà di annullare le profonde radici cristiane dell’isola di Cipro.

Oggi si invoca libertà religiosa, usando però due pesi e due misure. Anche ai cristiani, invece, deve essere consentita la possibilità di riappropriarsi dei loro luoghi sacri. È una questione di giustizia. A Cipro, quest’isola straordinaria per la presenza di testimonianze e tesori archeologici, la tutela della libertà religiosa, quella libertà che da sola garantisce una piena realizzazione della dignità di ogni uomo, diviene ancora più urgente.