La decisione di rinviare i Regolamenti concernenti l’istruzione secondaria di secondo grado è stata accompagnata da uno squillante comunicato ministeriale, in cui si dà la buona novella di una “svolta storica” imminente e di una riorganizzazione radicale del sistema di istruzione. Non subito! A partire dal 2010. Il rinvio viene giustificato con la necessità di spiegare meglio, di discutere di più.

Poiché la discussione dura dal 1996, per tacere dei quarant’anni precedenti, è ovvio che la ragione del rinvio è altra. E poiché è altra, anche la data prevista del nuovo inizio – autunno 2010 – è fasulla. Dal giugno 2008 il Ministro dell’Istruzione era stato informato da Tremonti della richiesta di tagli per 7,8 mld. e “invitato” a fare un Piano. Da allora il Ministro dell’istruzione ha delegato per intero all’apparato ministeriale la questione, malamente spacciata per “tecnica”, e si è dedicato ad altro: interviste su svolte epocali, un Decreto tra i più innocui della storia dell’istruzione, l’aggiunta forzosa al Decreto per mano esterno-tremontiana del “maestro unico”, la presentazione del Piano dei tagli alla Commissione cultura della Camera e del Senato. Nel frattempo già da ottobre circolavano bozze di Regolamenti, mentre una circolare spostava al 28 febbraio 2009 le iscrizioni al nuovo anno scolastico. Dunque, anche secondo il Ministro c’erano i tempi tecnici per spiegare “al colto e all’inclita” i Regolamenti.

La ragione del rinvio è in realtà l’opposizione scatenata dai sindacati e dalla sinistra nelle scuole e nelle piazze, che chiedevano il ritiro dei Regolamenti e dei tagli. La loro piattaforma era inequivoca: più soldi, nessun cambiamento. Il rinvio al 2010 è la risposta positiva alla “piattaforma” della piazza. Dopo tale risposta, l’opposizione è più forte: la mobilitazione paga! Difficile negarlo. Perciò non c’è nessun motivo per pensare che entro giugno 2009 – allorché si esaurirà il tempo della Delega per i Regolamenti – l’accoglienza dei Regolamenti delle superiori sarà più soave e l’opposizione meno agguerrita. Anche perché Gelmini ha ritirato generosamente i Regolamenti, ma Tremonti non ha ritirato i tagli! Farà un piccolo sconto di 45 mln. Quanto alla vicenda del “maestro unico” non sarà una passeggiata: perché la scuola primaria si vive, non a torto, come quella che funziona meglio e come quella peggio tartassata, mentre le superiori sono irriformate dal 1923; perché nei modelli oltre le 24 ore e al di qua delle 40 ore lo scenario che si profila è quello di togliere dalle 3 alle 6 ore ai bambini e contemporaneamente di collocare “in soprannumero” molti insegnanti elementari. Potrebbe verificarsi il paradosso kafkiano: bambini per strada, a carico delle famiglie, e insegnanti a scuola, ma senza classi, pagati – perché di ruolo – a carico anch’essi delle tasse delle famiglie.

Certo, se la comunicazione dell’opposizione è faziosa e menzognera, quella del governo continua ad essere confusa. Mentre il Ministro annuncia in TV che il modello del “maestro unico” a 24 ore è l’unico possibile, quasi in contemporanea Berlusconi da Bruxelles dichiara audacemente di non aver mai parlato di “maestro unico”, bensì di “maestro prevalente ” e che ci sarà il “doposcuola” (sic!) per le famiglie che lo richiedano. Né convince il vecchio sketch italico di proclamare “ritirata tattica” la rotta di Caporetto. La conclusione è che nel dicembre 2008 il Ministro è più debole che nel giugno 2008 e che sarà ancora più debole nella primavera 2009. La storia degli ultimi tre ministri dell’Istruzione insegna che le riforme sono sempre incerte, certissimi i rinvii sine die.

Questo ha tutta l’aria di un rinvio di legislatura. Del resto, la primavera 2009 apre un anno di scadenze elettorali: le elezioni amministrative ed europee del 2009, quelle regionali nel 2010. E qui si tocca il fondo delle ragioni vere, che hanno portato Berlusconi a porgere orecchio al grido di dolore della Gelmini: le prossime scadenze elettorali fino all’elezione nel 2013 del successore di Napolitano. La filosofia politica che ha ispirato questa ritirata non è esattamente quella liberal-democratica, che prevede che il governo attui i punti dell’agenda approvata dagli elettori e ne risponda alla scadenza della legislatura. La filosofia rischia di essere quella del consenso, che così diviene diviene il fine della politica, non il mezzo. In quest’ottica inevitabilmente le policies non hanno consistenza in quanto risolvano i problemi drammatici del Paese, ma in quanto servano a far vincere la prossima scadenza elettorale. Dal punto di vista dei riformisti di questo Paese si chiamano “vittorie di Pirro”…