Il fatto, di per sé, non è sorprendente. Ma merita comunque di essere guardato bene in faccia. E il fatto è che si assiste al rinnovarsi insistente di attacchi contro la Chiesa, la sua storia, il suo insegnamento, il suo supremo pastore.
Qualche esempio. Il presidente della Camera sostiene che la Chiesa cattolica non si è sufficientemente opposta alle leggi razziali del fascismo; gli storici definiscono il suo discorso come «sconcertante», ma intanto il sasso è lanciato. Andando ad alimentare la valanga che da mesi tenta di travolgere la memoria dei due pontefici che hanno fronteggiato fascismo e nazismo: Pio XI e il successore Pio XII.
Sempre per restare alla storia, in una trasmissione radiofonica serale si accusa la Chiesa di aver distrutto quella stupenda organizzazione di libertà e democrazia che era l’impero romano. Sembra che non ci sia malefatta da duemila anni a questa parte in cui la Chiesa non possa essere chiamata in causa come imputata.
Per quanto riguarda l’attualità, basta leggere alcuni commenti al messaggio di Benedetto XVI per la prossima giornata mondiale della pace del primo gennaio 2009. Dall’ampia analisi che il Papa propone si estrae la frase – del resto sacrosanta – sulla questione della regolazione delle nascite imposta da organizzazioni internazionali ai paesi in via di sviluppo e il giochetto è fatto: la Chiesa, che vuole impicciarsi di tutto, in realtà è astratta e l’unica cosa che veramente le interessa è porre i suoi sempiterni vincoli nella sfera sessuale. E puntualmente esce l’inchiesta su «tutti i no del Vaticano»: cosa starebbe facendo il Papa se non innalzare continui steccati e divieti, replicare ossessivamente una dottrina fuori dal tempo, ripetere la sfilza dei suoi «no»?
Di fronte a queste sortite persino il direttore de L’Osservatore Romano si è sentito in dovere di replicare con un articolo di fondo, nel quale mette in evidenza che gli allarmi che la Chiesa ripropone sono dovuti al suo amore per la persona e il suo destino. Ed essa continuerà a parlare, anche se viene ridicolizzata come quel clown che, già vestito per lo spettacolo, corre al villaggio per avvisare che è scoppiato un incendio. Tutti lo deridono, pensando che stia recitando. Finché le case non vengono travolte dalle fiamme.
Dicevo all’inizio che di questa pervicace e a volte disonesta incomprensione della Chiesa non c’è da sorprendersi. È da duemila anni, infatti, che quando la Chiesa parla con parole vive e non con quelle della mentalità comune (tentazione sempre ricorrente) i vati di quella mentalità le si rivoltano contro. Essa è, per dirla con Eliot, la Straniera e sa che «in tempo di prosperità il popolo dimenticherà il Tempio, e in tempo di avversità gli sarà contro».
Questa consapevolezza non fa certo concludere per una disincantata inattività. Il grande Charles Péguy aveva capito chiaramente, già oltre un secolo fa, che ci troviamo in una epoca «incristiana», la prima in cui la mentalità comune non è più cristiana dopo l’avvento del cristianesimo. E diceva che la risposta non è la lamentela sterile, né l’astio risentito. La risposta è sempre quella dell’inizio, quella del Natale che celebreremo settimana prossima: «Ma Gesù venne. Egli non perse i suoi anni a gemere e a interpellare la cattiveria dei tempi. Egli taglia corto. In un modo molto semplice. Facendo il cristianesimo. Egli non si mise a incriminare, ad accusare qualcuno. Egli salvò. Non incriminò il mondo. Egli salvò il mondo».