La campagna delle Tende di AVSI ha risvegliato l’attenzione al tema dello sviluppo e della povertà, ultimamente trascurato dai media e dall’opinione pubblica per far spazio alla crisi finanziaria.

Gli economisti hanno a lungo dibattuto su quale sia l’approccio più efficace per aiutare i paesi poveri a crescere e a uscire dallo stato di notevole sottosviluppo a cui sembrano da anni condannati.
In questo dibattito si sono contrapposte due posizioni.

Da una parte c’è la posizione di persone come Jeffrey Sachs, della Columbia University, che ritengono che i paesi più poveri necessitino di una serie di aiuti e di piani più o meno grandiosi che mobilitino le risorse necessarie per intraprendere una serie di riforme e di iniziative. Esse vanno dalla lotta alla malaria, all’aids e alle altre malattie, al miglioramento del sistema educativo, alle riforme istituzionali ecc. Questo approccio potrebbe essere definito come top down dato che le risorse e le iniziative partono dall’alto, messe a disposizione e in pratica dai generosi donors internazionali: i paesi avanzati e le istituzioni multilaterali (Nazioni Unite, Banca Mondiale ecc.)

Dall’altra parte c’è la posizione di economisti come William Easterly della New York University che ritengono che le iniziative di aiuto ufficiale allo sviluppo siano sostanzialmente inefficaci perché frutto di un approccio statalista/assistenzialista allo sviluppo che distorce fortemente gli incentivi. La risposta secondo questo approccio è di favorire le iniziative di sviluppo dal basso (bottom up), dato che gli uomini rispondono agli incentivi economici una volta che questi sono correttamente disegnati.

Nonostante le due posizioni abbiano un approccio diametralmente opposto nell’affrontare la problematica dello sviluppo e soprattutto nel disegnare le politiche economiche appropriate, essi condividono una stessa posizione antropologica che considera l’uomo secondo una logica meccanicistica.
Infatti sia che si consideri l’uomo come passivo soggetto ricettore di flussi di aiuti di varia natura, sia che lo si ritenga un individuo razionale che risponde ad appropriati incentivi economici, ultimamente si implica una visione meccanicistica dell’uomo che si ferma al tentativo di soddisfarne i bisogni.

Le testimonianze offerte dalle iniziative di AVSI suggeriscono che c’è una terza via allo sviluppo, più adeguata alla persona e anche più efficace come dimostrano i successi dei progetti di AVSI.
Questa terza via non si ferma al bisogno ma va alla sua radice riconoscendo che l’uomo è povero se non è in grado di soddisfare i propri desideri più profondi, originari e costitutivi (il desiderio di verità, di giustizia, di bellezza ecc.). 
Non è un caso che il titolo della campagna delle tende di quest’anno sia “Lo sviluppo ha un volto”. Come è possibile avere un approccio più adeguato all’uomo nello svolgere un compito difficile come quello della cooperazione per lo sviluppo?

E’ possibile fare questo passo se nell’operare quotidiano si utilizza, utilizzando una espressione cara a Don Giussani, una ragione affettivamente impegnata, perché riconosce che la persona che sto aiutando, pur nella sua condizione di degrado, ha ultimamente lo stesso mio desiderio di verità e di giustizia.

Operativamente ciò significa partire dal presupposto che il valore della persona umana non può essere ridotto nemmeno dalle condizioni di estremo disagio e povertà come quelle riscontrate nei paesi dell’Africa Sub-sahariana o dell’America centro meridionale. La scommessa principale di AVSI è stata dunque la valorizzazione di tutte le esperienze esistenti offerte dalla comunità locale e principalmente dai suoi corpi intermedi che costituivano un primo tentativo di risposta ai bisogni esistenti. “Partire dalla realtà” è già di per sè un’azione educativa che testimonia come proprio le persone più povere e disagiate possono essere protagoniste del cambiamento. E’ scommettendo sulla loro libertà che si rendono i poveri protagonisti dello sviluppo.  Due conseguenze discendono da questo approccio: la prima è che le iniziative di AVSI non sono mai fine a se stesse. Esse sono il seme da cui nascono numerose altre iniziative proprio perché, come è accaduto nell’iniziativa di Ribeira Azul in Brasile, partire dalla realtà significa sì realizzare le case per le persone che vivevano su palafitte fatiscenti, ma anche rendersi conto della loro esigenza educativa ed attivarsi per la realizzazione di asili scuole ecc. La seconda conseguenza è che i progetti di AVSI, rendendo la persona protagonista dello sviluppo, risultano sostenibili nel tempo dalla comunità locale superando il limite principale di molti progetti di aiuto allo sviluppo che, una volta compiti, non resistono alla prova del tempo.