L’augurio che il papa ha indirizzato domenica in piazza San Pietro “a tutti coloro che parteciperanno a vario titolo alle iniziative per l’anno mondiale dell’astronomia, il 2009, indetto nel 4° centenario delle prime osservazioni al telescopio di Galileo Galilei”, ha innescato il tam tam delle agenzie di stampa e ispirato molti titoli sui giornali. Ma a dire il vero, da sempre il magistero della Chiesa è costellato di riferimenti al valore dell’astronomia, tanto che fra i predecessori di Benedetto XVI, come lui stesso ha ricordato, “vi sono stati cultori di questa scienza, come Silvestro II, che la insegnò, Gregorio XIII, a cui dobbiamo il nostro calendario, e san Pio X, che sapeva costruire orologi solari.” Ed è interessante il fatto che la Specola Vaticana, fondata nel 1578 da Gregorio XIII, è una delle più antiche istituzioni al mondo nel panorama degli osservatori astronomici.
Ma perché questa particolare attenzione della Chiesa per l’astronomia? Indubbiamente la tradizione giudaico-cristiana è ricca di testimonianze del legame profondo tra l’astronomia e la liturgia. La definizione delle feste più importanti richiedeva la conoscenza dei cicli lunari e solari. La Pasqua è legata all’equinozio e al plenilunio e, come ha ricordato ieri il papa, “la stessa collocazione della festa del Natale è legata al solstizio d’inverno, quando le giornate, nell’emisfero boreale, ricominciano ad allungarsi.” Le antiche cattedrali erano vere e proprie rappresentazioni cosmiche. Il loro orientamento indicava i punti cardinali, l’orologio solare dettava le ore del giorno. “Questo ci ricorda la funzione dell’astronomia nello scandire i tempi della preghiera”, ha detto il papa. “Piazza San Pietro è anche una meridiana: il grande obelisco, infatti, getta la sua ombra lungo una linea che corre sul selciato… ed in questi giorni l’ombra è la più lunga dell’anno.” Colpisce quest’immagine della meridiana che da secoli segna le ore del giorno, unendo il movimento del cielo con il cammino dell’uomo sulla terra. Spesso poi, sulla facciata delle chiese, erano presenti i regoli per la misura delle distanze, che servivano da unità di misura per costruire le strade e le case in cui vivevano.
Ma non è solo questo. Sia la tradizione ebraica che quella cristiana hanno saputo esaltare il valore evocativo e educativo dello sguardo al cielo. La contemplazione del firmamento aiuta l’uomo a considerare la propria natura, la propria sproporzione e il desiderio di infinito che lo costituisce, e può riaccendere in lui lo stupore per la creazione. Così Giovanni Paolo II nel 1979 rivolgendosi a un gruppo di cosmologi disse: “La vostra scienza è per l’uomo una via maestra alla meraviglia… La ragione scientifica, dopo un lungo cammino… ci induce a riproporre con rinnovata intensità alcune delle grandi domande dell’uomo di sempre: da dove veniamo? dove andiamo?; ci porta a misurarci ancora una volta sulle frontiere del mistero, quel mistero di cui Einstein ha detto che è “il sentimento fondamentale, che sta accanto alla culla della vera arte e della vera scienza” e, aggiungiamo noi, della vera metafisica e della vera religione.”
Esattamente mezzo secolo prima, Pio XI affermava: “La meraviglia non è che l’universo visibile materiale sia così grande, così immenso, come la scienza viene rivelando, travolgendo le intelligenze di studiosi in abissi pieni di mistero di cui nulla annuncia il fondo: la meraviglia è che tutto questo noi abbracciamo in un pensiero, noi esprimiamo in una parola: universo.” E la bellezza della creazione invita la ragione a riconoscere il mistero che la genera in ogni istante. Per questo l’osservazione dell’universo, fino allo svelarsi dell’ordine nascosto nelle leggi di natura attraverso la scienza moderna, è percepita dalla Chiesa come un’occasione privilegiata per rendere lode al Creatore. Come ha detto domenica il papa, “Se i cieli, secondo le belle parole del salmista, ‘narrano la gloria di Dio’, anche le leggi della natura, che nel corso dei secoli tanti uomini e donne di scienza ci hanno fatto capire sempre meglio, sono un grande stimolo a contemplare con gratitudine le opere del Signore.”
Il nesso tra il senso religioso dell’uomo e la contemplazione del cielo è naturalmente un tratto comune a diverse grandi tradizioni religiose. C’è però una particolarità nel cristianesimo. In esso, l’aspetto decisivo non è una legge morale o una dottrina religiosa, ma un fatto apparentemente ordinario: la nascita di un bimbo in un piccolo paese alla periferia dell’impero, e quel bimbo è il senso di tutto l’universo. La pretesa cristiana ha una portata cosmica: nella vastità dello spazio e del tempo, in un punto impercettibile “il mistero di Dio si fa uomo” per rispondere all’attesa di ogni uomo e di tutta la creazione. Come ha detto Benedetto XVI nel suo messaggio: “Questo mistero di salvezza, oltre a quella storica, ha una dimensione cosmica: Cristo è il sole di grazia che, con la sua luce, trasfigura e accende l’universo in attesa”.