Don Giussani ricordava che in ebraico non a caso parole che hanno una medesima radice indicano ciò che è futile ed effimero: la menzogna e l’uomo, perché passa anche lui. Ed è questo passare senza lasciare traccia, se non quella ideale legata a più o meno grandi opere destinate a essere ricordate dai posteri, che col tempo mi è sembrato sempre più inaccettabile, un frutto malato della cultura nella quale ero cresciuto. Una cultura dallo sbocco nichilista, pur generosamente impregnata com’era di Aufklarung e di magnifiche sorti e progressive dell’uomo che scopre in sé l’unico senso possibile, primo e ultimo di ogni cosa. Neanche per idea. La faccio breve, e soprattutto parlo per me; questa non è sede né di polemica filosofica o ermeneutica, né di ammaestramento ad altri che io non so e non credo di poter dare. È il mio percorso, tutto qui. Che mi aiuta, però, a identificarmi nell’obiettivo del prossimo meeting di Rimini: o protagonisti, o nulla.

L’essere protagonisti significa sottrarsi al nulla. Sottrarsi al nulla, significa andare al cuore dell’uomo. Andare al cuore dell’uomo, significa scegliere liberamente ciò che ci accomuna su questa Terra e oltre, e farlo senza nessuna aporia con la ragione, checché dicessero i maestri della mia gioventù. Il compimento di un destino è nel dividere per l’uomo e con l’uomo ciò a cui siamo chiamati, e a chiamarci è Chi lo ha fatto nell’Antico e poi nel Nuovo Patto. Ed è una missione di gioia, oltre che di fatica, della quale impregnare ogni passo della nostra vita.

Mi occupo più che altro di economia, e non c’è campo in cui questa regola valga meglio che nell’economia. Dice il Salmo 49: “Io ho avuto tanta invidia per i ricchi, tanta rabbia contro di essi, ma poi ho capito, Signore: alla mattina erano così, e alla sera non c’erano più”. L’economia è per l’uomo, e non viceversa. Il libero gioco delle scelte individuali coopera a beni comuni al di là e meglio di quanto facciano disegni superiori figli di ogni costruttivismo pianificatore di Stati o partiti. Il costruttivismo è figlio della superbia di chi “dall’alto” crede di conoscere meglio delle persone ciò in cui si alloca il meglio delle loro risorse.

Siamo purtroppo tutti figli di un secolo e oltre di scontri aspri tra chi ha creduto di piegare la chiave dei processi d’indirizzo dell’economia al servizio dei discepoli, di destra o di sinistra, di Feuerbach. La sua identificazione della coscienza umana con la natura, di cui sarebbe figlia esclusiva, è la negazione di ogni missione collettiva in un progetto di arricchimento e salvezza. La cosa più terribile è che all’inizio del XXI secolo ancora sia dominante se non egemonica la forza di chi la pensa in quel modo. Da come si deve essere liberi di organizzare al meglio un processo produttivo incentrato sul capitale umano, a come allocare il capitale e con quali rendimenti, e a rischio di quali garanzie patrimoniali sull’interesse negato, non vi è scelta decisiva nel processo economico che non possa essere contrapposta, tra chi ha un’idea del protagonismo come risposta libera a una chiamata d’Alleanza, e chi invece lo postula come unico orizzonte dell’uomo di successo in quanto tale, e chi combatte tale prospettiva ma nel nome di interessi di Classe o Nazione o Imperi.

Il quoziente fiscale per le famiglie, per dirne una, è una modalità d’incentivo coerente a un comune destino di arricchimento umano. La tassazione individuale nasce invece sì come liberazione dall’appiattimento al sovrano e alle sua imposte indirette uguali per tutti, ma ha sortito l’effetto di gravare in maniera inversamente proporzionale alla progressività “illuminista” che dichiara di perseguire. La sussidiarietà fiscale, per dirne un’altra, è un incentivo a far sprigionare le potenzialità di chi sa e vuole fare, a costi e con servizi più efficienti ed efficaci di ogni Moloch pubblico. Ma, ripeto, sono solo esempi. Per confermare che l’exergo di questo Meeting parla a ciascuno di noi, per un banchetto più grande che non si misura solo in numero di portate.