Già il Meeting del 2007 aveva puntato i riflettori sull’ambiente “carceri”. Quest’anno lo rifà con una mostra e un incontro in cui interverrà, tra gli altri, il ministro Alfano. Non si tratta di una reazione alla mentalità giustizialista e tanto meno un impeto buonista che è lecito aspettarsi da dei cattolici.

Si tratta invece, come spesso capita di documentare al Meeting, del frutto di incontri, attraverso le più disparate occasioni: commenti scambiati su articoli di giornale che diventano rapporti epistolari di amicizia molto intesi, attività di volontariato svolto nelle carceri, il lavoro di cooperative realizzato con i carcerati…

Le testimonianze dei detenuti che si possono leggere nella mostra “Libertà va cercando che si cara. Vigilando redimere” impressionano per la responsabilità verso il male fatto – che viene chiamato per ciò che è, male – e per la sensazione di libertà che, anche dietro le sbarre, chi incontra qualcosa di vero ricomincia ad avere. Come è stato sottolineato più volte in questi giorni, protagonista non è il divo o personaggio di successo, ma chi è cosciente di sé, soddisfatto e rispettoso delle proprie esigenze profonde, anche in situazioni proibitive.

Perché? Il carcere è una situazione limite in cui viene messa a nudo la natura umana, sempre in costante confronto con i suoi limiti e il suo insopprimibile desiderio di vita e di verità. È come vedere su grande schermo quello che nella vita “normale” si vede nel chiaro-scuro. Soprattutto chi sbaglia tanto – ogni uomo che sbaglia – non può smettere di sentire la sua natura che desidera il perdono e di svoltare nella vita. E questa è un’esigenza innanzitutto di fronte a se stessi.

Contro il giustizialismo deprimente che non ritiene di poter recuperare il male e contro l’impunità irresponsabile, che pensa al male come ad un problema sociale, un cristiano sa che un uomo è così grande da essere responsabile del male fatto e sa che però può cambiare, che un incontro può cambiare la direzione di una vita.

È d’altronde quanto indicato dal dettato costituzionale che sottolinea l’intento riabilitativo della pena carceraria e dà cosi il segno della sanità di una società che cerca di recuperare forze positive al suo interno.
Una possibilità di cammino verso il cambiamento in carcere è data dal lavoro che, oltre a ridare un ruolo positivo nel contesto sociale, permette ai carcerati il sostentamento economico, consente di non sottrarre più risorse alla società, ma di produrne di nuove. Infatti, mentre la recidiva nel nostro Paese è normalmente del 90%, laddove venga offerta la possibilità di imparare un mestiere e praticarlo, la recidiva scende addirittura all’1%.

Il 70% dei detenuti in Italia è un cittadino straniero: sarebbe bello se queste persone, tornate al loro Paese, potessero “portare via” i valori della nostra civiltà, come un bene per tutti.