Nella giornata conclusiva, al Meeting di Rimini ci sarà un incontro dal titolo “La terra dei diritti: l’Europa che verrà”. Non è un caso che la kermesse che si tiene nella città adriatica abbiamo come titolo “Meeting per l’amicizia tra i popoli”. Lunedì infatti si terrà una riunione straordinaria dell’Unione Europea per affrontare la crisi in Georgia, e verrà studiata la possibilità, remota, di imporre sanzioni alla Russia.

La Presidenza di turno francese dell’Unione che, all’inizio, doveva essere dedicata a questioni istituzionali, a stabilire una politica migratoria comune, allo sviluppo e a dar vita all’Unione per il Mediterraneo, nell’ultima settimana ha visto come le sue energie dovranno rivolgersi a mediare il conflitto, anche se si potrebbe parlare di guerra, tra Russia e Georgia.

Nonostante le iniziative personali di Nicolas Sarkozy, la crisi del Caucaso ha messo nuovamente allo scoperto la debolezza del piano internazionale dell’Unione Europea. Le ferite aperte in seno all’Unione dalla guerra in Iraq si sono chiuse, il patto atlantico voluto da Sarkozy e Merkel ha offerto un profilo esterno meno combattivo. La Francia è tornata alla struttura militare integrata e sono migliorate le relazioni tra Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.

Tuttavia l’ultima crisi mostra fino a che punto manca un’autentica autonomia strategica dell’Unione Europea. Può essere questa un’altra ragione per dar ragione agli “euroscettici”? Può essere questa un’altra occasione per far ragione a tutti quelli che hanno accolto con soddisfazione il “no” irlandese al Trattato di Lisbona (che semplifica le assurde pretese della ormai morta Costituzione)?

Senza dubbio la chiamata burocratica di Bruxelles alimenta un distacco dei cittadini dal progetto di costruzione europea. Ma nonostante i suoi errori e limiti, è necessario ricordare qual è stata l’origine di questo processo. I “padri fondatori” dell’Europa volevano, dopo le due guerre mondiali, costruire una pace duratura per il Vecchio Continente. Quel che è successo ultimamente in Caucaso ci ha mostrato quanto la pace non sia una conquista definitivamente acquisita.

La necessità di lavorare costantemente per la pace è proprio quello che la maggior parte delle nuove generazioni di europei non comprendono e, per questo, si permettono il lusso di abbracciare in modo banale la “antipolitica” e l’“antieuropeismo”.

È necessario pertanto un lavoro di educazione, un’educazione che faccia comprendere, a chi si rifugia in un nichilismo individualista, il valore del bene comune, della costruzione comune, anche tra i popoli. Questa pace che è necessario continuare a costruire deve fare i conti con la situazione economica (secondo Eurostat, siamo già in recessione) e con la sfida dell’immigrazione.

Il Meeting di Rimini ci sta offrendo strade interessanti per superare la minaccia di un multiculturalismo generico, per arrivare alla convivenza comune. L’immigrazione può trasformarsi in una pruralità che porta richezza senza censurare la propria identità. Il contratto di integrazione inizialmente formulato da Sarkozy andava in questa direzione.