Qualche giorno fa, precisamente venerdì 23 gennaio scorso, sulle pagine del quotidiano “Secolo d’Italia” è apparso un articolo che ha suscitato più di una perplessità. L’editoriale porta un titolo piuttosto eloquente “Don Sturzo? Se lo tengano quelli del Pd”. Un titolo che lascia spazio a molti commenti. Il corpo dell’editoriale, tutto incentrato sulla figura del sacerdote, aveva la pretesa di riassumere in qualche colonna la dottrina politica di don Luigi Sturzo. Ovviamente, la sua figura era presentata in chiave negativa.
La tesi sostenuta nell’articolo, per riassumere, è questa: la strada indicata da don Sturzo, nel corso della sua lunga attività politica, e cioè che lo Stato debba avere a che fare con la verità e l’amore, è fuorviante. Si individua, quindi, nelle modalità di rapporto tra politica e Stato tracciate da Sturzo un difetto di fabbrica: la stretta connessione tra morale e Stato.
Questa visione, secondo qualcuno, è una pesante colpa da imputare alla visione del fondatore del Partito Popolare italiano, in quanto una concezione laica e realista della politica non permetterebbe alcuno scambio tra queste due realtà. Quasi ad affermare che è un paradosso auspicare, o meglio, pretendere che etica e politica vengano considerate come due elementi inscindibili.
È stato proprio Sturzo, infatti, che nella concezione di Popolarismo, dottrina politica autonoma e originale, intravedeva una messa in pratica della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, dove l’attività di governo, grazie alla sua azione profondamente pragmatica, dovesse essere condotta secondo l’etica. Questa visione viene liquidata come antiquata, ideologica, irreale e fuori dal tempo.
Dispiace che, proprio nell’anno in cui ricorrono i sessant’anni dalla sua morte, l’esempio di don Sturzo venga così semplificato. È una visione piuttosto riduttiva pensare che la verità debba stare fuori dalla porta delle ragioni di Stato. Ed è altrettanto riduttivo pensare che la politica sia soltanto una lotta per il potere di forze sociali in conflitto fra loro.
Mi domando, allora, come si pretenda di governare e perseguire il bene comune se non con le armi del diritto, della giustizia e dunque della moralità intesa come apertura alla trascendenza? Ridurre infatti l’etica al moralismo bigotto incapace di percepire le particolari leggi della politica è sbagliato se si tiene conto del fatto che un atteggiamento etico è fondamento del processo di conoscenza: ci fa vedere come stanno le cose con realismo e aprendoci a tutti i fattori in gioco.
Dall’insegnamento di don Luigi Sturzo, per il quale dal 2002 è stato aperto il processo di beatificazione, il popolo della Libertà ha molto da imparare. Il Pdl non avrà futuro se andrà a configurarsi come un contenitore dove i vecchi partiti si organizzano in componenti. Sarà questa l’anticamera dell’insuccesso e ricalcherà la sorte che è capitata al Partito Democratico di Vetroni ancora oggi attardato a tentare di produrre una impossibile sintesi tra cosiddetti valori laici e cattolici. Se, invece, sarà capace di individuare un cammino comune,partendo non tanto da analisi sofisticate quanto da ciò che dà speranza alla esperienza di un popolo, potrà veramente interpretare i bisogni della società e del cittadino.
Addirittura una visione che lascia maggiore spazio al ruolo della società riguarda a mio modo di vedere la stessa forma partito che potrà scoprire una sua modernità se sarà capace di coinvolgere tutti i soggetti locali che vogliono contribuire e collaborare a una formazione politica basata tanto su valori quanto su un pragmatismo capace di ricostruire un tessuto sociale. Un partito, quindi, che è capace di generare nuove forze e di entrare in sintonia con quelle che già esistono.
La debolezza di un partito è racchiusa nell’incapacità di ascoltare e accogliere i bisogni del territorio. Su questo punto il Popolo delle Libertà non può permettersi fragilità o assenze rispetto a partiti che fanno delle istanze locali il loro vessillo e il loro distintivo.
La forte difesa delle autonomie locali, una delle cifre del pensiero politico di Sturzo, può essere un adeguato riferimento per un partito moderno che sappia non perdere di vista la relazione tra leadership ed esigenza di protagonismo non solo dei suoi militanti ma anche di coloro che a quel partito guardano per dare più forza alle istanze sociali e culturali che sentono di rappresentare. Un partito con una logica sussidiaria insomma,esattamente il contrario del partito stato che Sturzo ha combattuto per tutta la vita.