USA/ L’aborto, una questione non politica

Il movimento anti-aborto è rimasto senza una casa politica e, forse, questo si rivelerà una benedizione. Per ora, si tratta veramente in primo luogo di una questione di testimonianza piuttosto che di politica di partito

Il 23 gennaio del 1974 partecipai a Washington alla prima “Marcia per la vita” per protestare contro la decisione di un anno prima della Corte Suprema (Roe vs. Wade), che aveva sancito come diritto costituzionale il procurare o effettuare aborti. A quel tempo l’atmosfera alla Marcia era piena di speranza e l’approvazione di un emendamento costituzionale per annullare la sentenza Roe vs. Wade appariva possibile a molti.

 

Quest’anno, trentaquattro anni dopo, l’atmosfera della Marcia era quella di un atto di testimonianza molto più che di strategia politica. L’elezione a presidente di Barack Obama, sostenitore della Roe vs. Wade (la cui costituzionalità è stata riaffermata dalla Corte Suprema), rende improbabile che la causa del movimento antiabortista trovi molti appoggi a livello politico. In effetti, la maggioranza degli americani sembra del tutto a suo agio con la legalizzazione dell’aborto.

Il giorno dopo la Marcia, il presidente Obama ha revocato il divieto dell’Amministrazione Bush di concedere finanziamenti federali a organizzazioni internazionali che promuovono l’aborto. Questo divieto fu introdotto da Ronald Reagan, rimosso da Carter, imposto di nuovo da Bush senior, cancellato da Clinton (nello stesso giorno della Marcia), ristabilito da Bush junior (nel giorno della Marcia) e ora annullato da Obama, mantenendo una promessa elettorale fatta alla sinistra del Partito Democratico. Il presidente Obama ha aspettato il giorno dopo la Marcia per emanare il suo provvedimento (e senza alcuna pubblicità alla sua firma), come gesto di rispetto, ha dichiarato, per il movimento antiabortista.

La posizione di Obama non è una sorpresa. Dopotutto, non vi è nessuna indicazione nella sua educazione che gli sia mai stato insegnato come affrontare in modo critico questo argomento. Sebbene cristiano battezzato, ha scelto di identificarsi in quanto tale solo in età adulta, sotto l’influenza di una comunità ecclesiale senza alcuna tradizione di una morale basata sulla “legge naturale”, ma piuttosto sull’enfatizzazione degli aspetti di giustizia sociale, occupandosi di discriminazione razziale e povertà seconda una secolarizzata ideologia progressista.

Nel periodo in cui si definiva un nero “americano”, l’influenza delle comunità battiste fondamentaliste nere si era indebolita parecchio, soprattutto nel Nord. La sua vita ecclesiale era essenzialmente la branca religiosa afroamericana della politica del Partito Democratico. Quando i ministri religiosi neri e i leader religiosi (come Jesse Jackson) abbandonarono le loro convinzioni religiose pro-life per essere accettati dal Partito, la causa liberal divenne essenzialmente pro aborto.

E poi c’erano i Democratici cattolici i quali, nella Chiesa divisa dalla condanna della contraccezione, trovarono preti, religiosi e teologi che li portarono a credere che potevano rimanere buoni cattolici senza opporsi alle politiche del loro partito in favore dell’aborto (solo qualche giorno fa, di fronte alle critiche anche di alcuni progressisti, la cattolica Nancy Pelosi ha difeso la promozione della contraccezione come componente necessaria del piano dell’Amministrazione per rivitalizzare l’economia).

I cattolici anti-aborto sono stati costretti a rifugiarsi tra le accoglienti braccia dei Repubblicani, ma nell’attuale disordine e tentativo di riposizionamento del Partito Repubblicano appare chiaro come, per attrarre i Democratici contrari all’aborto, molti Repubblicani avessero nascosto le loro posizioni in favore dell’aborto. Così, il movimento anti-aborto è rimasto senza una casa politica e, forse, questo si rivelerà una benedizione. Per ora, si tratta veramente in primo luogo di una questione di testimonianza piuttosto che di politica di partito.

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