Quarant’anni sono passati dall’ultimo periodo di difficile crisi vissuto dal nostro Paese. Il quinquennio 1968-73 ha qualche caratteristica in comune con il momento attraversato oggi a partire dall’origine internazionale della crisi: anche allora ci arrivò dagli Stati Uniti, via maggio francese, qualcosa di assolutamente inatteso e molto perturbante.
Una cosa sicuramente sembra differenziare questi due difficili momenti: la posizione e la forza del sindacato dei lavoratori. Allora dopo la ricostruzione e il boom economico in cui si realizzò la prima vera industrializzazione del Paese, la protesta studentesca si saldò con quella operaia e, favorita anche dalla presenza al governo del partito socialista, originò il primo autunno caldo.
Il lavoro, che tanto aveva contribuito al decollo economico, chiedeva a gran voce e in una logica di contrapposizione al capitale, normale per quegli anni, di partecipare alla redistribuzione della ricchezza. Nel maggio del ‘70, ministro del lavoro il socialista Brodolini e suo consigliere il recentemente scomparso Gino Giugni, vede la luce, quasi come normale conseguenza, lo Statuto dei lavoratori.
La triplice sindacale, monopolista del consenso operaio, e, sia pure con qualche difficoltà di passaggio, saldamente unitaria, amministra il proprio ampio potere fino ad arrivare a teorizzare con Luciano Lama l’insostenibile equazione costo del lavoro uguale variabile indipendente. Gli scioperi generali e in genere le manifestazioni operaie erano, allora, un rito diffuso e di ampia partecipazione. I lavoratori, fin lì poco tutelati, vedono riconosciuti molti diritti e decolla il welfare all’italiana.
E oggi? Alla fine di un anno di crisi, per molti epocale e seconda solo a quella del ‘29, si è tenuta sabato scorso la prima manifestazione sindacale nazionale, che ha visto convergere a Roma organizzati dalla sola Cgil molto meno delle centomila persone dichiarate. I giornali hanno dedicato alla notizia poco spazio se si considera che parte di questo registrava le posizioni contrarie di Cisl e Uil.
Nel frattempo si moltiplicano le iniziative dal basso degli imprenditori, quasi sempre al di fuori delle proprie associazioni di rappresentanza, per chiedere decisioni e visibilità. Sembra che ai lavoratori di quarant’anni fa, i protagonisti di quell’epoca, si siano oggi avvicendati, con ovvie diverse modalità, i datori di lavoro e i lavoratori autonomi che, nel frattempo, sono diventati milioni.
Con una grande differenza: quella dell’inclusione al loro fianco dei propri collaboratori, senza la cui abilità e dedizione l’impresa non ha prospettiva alcuna. Venuta meno in larghi strati della popolazione l’ideologia, è caduta anche la contrapposizione conflittuale e, pur riconoscendo le diverse specificità, c’è margine per affrontare insieme bisogni comuni.
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Contemporaneamente, e non è un caso, per iniziativa del vice-presidente della Commissione Attività Produttive della Camera Raffaello Vignali, è allo studio, e anche qualcosa in più, uno Statuto delle imprese.
A scanso di equivoci occorre ribadire l’importanza, per un paese industriale come il nostro, della presenza di un sindacato forte, ma anche che la forza di un sindacato sta nel difendere gli interessi di tutti i lavoratori, non solo di quelli a diverso titolo garantiti, e che, all’origine, questi convergono con quelli dell’imprenditore: la continuità dell’impresa.