Del vertice della Fao e dei suoi variopinti contorni di frivolezze resterà ben poco, a parte la cifra sconvolgente del miliardo di umani destinati a soccombere per la fame.
Facili le ironie su quante scuole, ospedali e appezzamenti agricoli si sarebbero potuti realizzare nelle regioni povere se i vari capi di stato fossero stati accompagnati da due sole auto e non da una media di venti come qualcuno ha pazientemente calcolato, se le delegazioni non si fossero poi precipitate a fare shopping da Bulgari e Prada, e se l’amico ritrovato (dall’Italia) Gheddafi avesse reclutato non duecento ma venti hostess (“vestite sobriamente, molte anche laureate” ha voluto precisare la titolare dell’agenzia nonché mamma di una delle fortunate) per colorare le sue serate romane… ma questi sono i vertici e queste sono le organizzazioni mondiali del nostro tempo, recriminare non serve a nulla e non dà soddisfazione ai bisognosi.
Piuttosto serve domandarci cosa manca a questo forsennato e perenne incontrarsi di leader in ogni parte del globo: non le ragioni, perché tutti vediamo la necessità di fare la pace, nominare i capi della sempre stanca “nuova Europa”, sconfiggere la fame, tutelare i ghiacciai. Ma evidentemente le ragioni non bastano a rendere efficace, produttivo e credibile il rito più replicato della moderna politica mondiale: il summit. E allora?
Una risposta viene dal libro di storia contemporanea più sorprendente degli ultimi anni – di una storia che mescola diplomazia, diritto, politica e persino filosofia in un racconto affascinante e serrato: il triennio che portò alla Dichiarazione universale dei Diritti umani, solennemente avvenuta il 10 dicembre 1948. Lo ha scritto Mary Ann Glendon, docente a Harvard e presidente dell’Accademia pontificia delle Scienze sociali, e con il titolo “Verso un mondo nuovo” lo ha pubblicato in Italia l’editore Liberilibri.
Ebbene quel triennio è una scoperta, come sono una scoperta i suoi protagonisti, “un gruppo di uomini e donne straordinari che affrontarono la sfida in un momento storico senza eguali”. La Dichiarazione, vero vertice della saggezza umana, si trova esattamente al punto di incrocio tra spirito del tempo e le personalità di quel gruppo (soprattutto un cinese, un libanese, un francese e una americana), animate da passione, temperamento, cultura e desiderio di bene – tutte qualità che oggi appaiono come virtù eroiche, tanto sembrano scarse nel mercato politico mondiale.
CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA IL SIMBOLO >> QUI SOTTO
È prodigioso il modo con cui l’autrice guida dolcemente ed energicamente il lettore nel mondo distrutto della fine della guerra e proprio perché distrutto bisognoso di una rigenerazione profondissima e radicale. Gli uomini si riscuotevano dall’orrore e risalivano le scogliere dell’abisso in cui erano precipitati.
Dovevano trovare insieme nuove ragioni per incontrarsi e convivere e costruire, ed ecco il motivo di tanta tensione creatrice, di tanta instancabilità, di tanto impegno. Così sfogliando le pagine di questa magnifica epopea (in cui brilla la stella di Eleanor Roosevelt) viene da leggere in una mesta controluce il vano viaggiare contemporaneo da una città all’altra, da un vertice al successivo. E chi vorrà seguire il consiglio di aprire il volume stia certo: la risposta a quella domanda arriva presto ed è molto chiara.