Mercoledì scorso ho partecipato con il vicedirettore del Corriere della Sera Dario Di Vico all’ultima riunione, in ordine di tempo, del gruppo di imprese di piccole e medie dimensione che due mesi fa ha dato vita a Jerago con Orago, in provincia di Varese, all’incontro con Tremonti e Bossi.
Ospiti di Cna Varese, per la cinquantina di aziende presenti e per gli organizzatori, i coniugi Cassani, il tema latente era la prospettiva da dare alla loro iniziativa dal basso. Dopo la comprensibile protesta e richiesta di attenzione, in tutti i presenti era più o meno chiara la necessità di passare alla fase della proposta. In un intenso giro di tavolo, durato più di due ore, sono emerse le storie di una dozzina di imprenditori e delle loro aziende.
Personalmente ne ho ricavato conferma di alcune idee maturate in questi mesi di crisi. Da parte di queste persone, idealmente rappresentative di una parte importante del Paese, c’è innanzitutto un forte bisogno di raccontarsi e di poter essere ascoltati da qualcuno con cui poter interagire, che capisca il loro mondo ancora oggi sostanzialmente sconosciuto e bistrattato.
Il racconto, spesso venato di pessimismo, nel confronto recupera velocemente l’orgoglio delle motivazioni di partenza e stempera l’accento negativo riprendendo coscienza della propria responsabilità. Sarà per la verità dell’antico “mal comune, mezzo gaudio”, ma l’effetto è quello di una accettazione più oggettiva e quasi sempre meno critica della realtà vissuta.
È come quando, e penso di descrivere un’esperienza comune, di notte nel dormiveglia i problemi che dobbiamo affrontare il giorno dopo ci sembrano ingigantiti, mentre iniziando la giornata tutto recupera la giusta dimensione: sia chiaro il problema resta tale, ma è più lucido e razionale il nostro affrontarlo. C’è un modo di confrontarsi con la difficoltà della piccola e media impresa che deve partire dall’ascolto dei suoi protagonisti.
Un’altra conferma riguarda il venir meno in queste imprese, se mai c’è stato, del conflitto capitale-lavoro. Se possiamo prendere atto che un anno di crisi è passato, con tutte le sue difficoltà, senza manifestazioni di piazza, scioperi generali, sequestri di dirigenti e via di questo passo è perché, come è chiaramente emerso in molti interventi quella sera, per gli imprenditori i propri collaboratori si ritrovano sulla loro stessa barca e il destino di entrambi è strettamente intrecciato.
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Stringere i denti, anche ricapitalizzando l’azienda, è opzione naturale per queste persone anche per salvaguardare occupazione e capitale umano. Ascoltandoli, a chiunque sia dotato di onestà intellettuale non può non risultare vecchia la distinzione tra padroni e operai: in queste imprese, almeno nel momento del bisogno, si è insieme, nella distinzione di responsabilità e carismi, per il bene comune.
Infine, emerge un panorama imprenditoriale fatto di chiari e di scuri, con imprese che, per capacità e fortuna, hanno saputo anticipare il cambiamento o rispondervi prontamente e altre attardate in posizioni di retroguardia, oggettivamente più difficili da sostenere. Su questo punto non basta ascoltare, c’è bisogno di un giudizio chiaro che sappia aiutare la presa di coscienza, prima, e, se necessario, la possibile strada per uscirne.