Con il Consiglio europeo della scorsa settimana si è concluso il semestre della presidenza svedese. Sono svariati i punti delle conclusioni derivate dal Consiglio europeo che potremmo definire incoraggianti per il prossimo futuro.

Innanzitutto l’immigrazione. Si è messa in evidenza l’esigenza di rendere più efficiente l’accesso al territorio dell’Unione europea nella garanzia della sicurezza dei propri cittadini. Per fare questo occorre una politica d’integrazione: trovare il giusto equilibrio tra le esigenze degli Stati membri e il potenziale produttivo dei migranti.

Si è richiamato poi a un’Europa della responsabilità e della solidarietà in materia di migrazione e asilo. In questo senso, da italiano, mi incoraggia l’accento posto dal Consiglio sull’urgenza di combattere l’immigrazione clandestina partendo dagli stati membri di frontiera, soprattutto quelle meridionali. Questo significa condividere risorse e problemi, spiace che troppo spesso questo aspetto venga sovrastato dagli egoismi e dalla mancanza di coraggio.

Il secondo aspetto, che ritengo prioritario in questo periodo in cui non intravediamo ancora la luce in fondo al tunnel della crisi economica, è il rilancio della strategia di Lisbona: dobbiamo tornare il più in fretta possibile a competere sul piano economico e commerciale con le potenze emergenti. Soltanto un sistema di ricerca e di conoscenze all’avanguardia permetterà questo passo vitale per noi ma soprattutto per le nuove generazioni.

Mi compiaccio del fatto che nel metodo nuovo invocato dal Consiglio si punti a rinsaldare il legame fra misure nazionali e misure dell’UE e rafforzare la titolarità nazionale attraverso un coinvolgimento più attivo delle parti sociali e delle autorità regionali e locali. Detto in una parola sussidiarietà.

Ritengo tuttavia che si debba fare di più in questo senso. Al centro del principio di sussidiarietà si colloca la singolarità di ciascuna persona, della famiglia e dei gruppi intermedi. Devono essere questi i tre protagonisti della ripresa economica dell’Europa, solo nella persona, negli uomini è presente quel dinamismo originario che possa riattivare i tanti settori della vita sociale ormai piegati al pessimismo che arriva dalle istituzioni.

Il terzo e ultimo punto sul quale mi soffermo riguarda la Conferenza sul clima in corso a Copenhagen. Si tratta di una partita nella quale non abbiamo rivali, siamo all’avanguardia a tutti i livelli. Tuttavia il raggiungimento di un accordo soddisfacente sarà possibile soltanto se tutte le parti contribuiranno anche con dolorose rinunce e cambiamenti di linea. L’intervento isolato dell’Unione europea non sarà sufficiente.

 

Dovremo essere bravi a far comprendere a tutti come la sfida del cambiamento climatico va affrontata come una risorsa, anche economica, e non come un fastidio. Quella del clima è la partita globale per eccellenza. Se viene meno il contributo di un solo grande attore, viene meno tutto il progetto.