Quando la sera torniamo a casa stanchi e appesantiti dalle preoccupazioni della giornata, spesso ci corrono incontro a braccia aperte i nostri bimbi. Così fa Dio. Per rendersi familiare ad ogni uomo, è divenuto bambino. I Padri della Chiesa arrivavano a dire: “Dio si è abbreviato”, taluni usavano addirittura un verbo in cui l’“abbreviarsi” è legato all’“impoverirsi”. Dio, l’Onnipotente, si è impoverito, si è abbassato, per imparare la nostra lingua di creature.
E forse oggi, più che mai, il mondo avverte la pungente nostalgia di Dio. «Stanco e disfatto è il mondo – scrive Chesterton – ma del mondo il desiderio è questo». L’annuncio del Natale incontra il gemito di questo desiderio.
Sempre nella storia dell’Occidente i momenti di passaggio, e quindi di maggior travaglio, hanno fatto emergere le questioni decisive. Osserva Sant’Ireneo: «Il Verbo di Dio pose la sua abitazione tra gli uomini per abituare l’uomo a comprendere Dio». È la ragione per cui – insiste Ireneo – «Dio manifesta se stesso negli uomini». Non c’è alcun antagonismo tra Dio e l’uomo se questi resta nell’amore di Lui. In questo rapporto col Dio che si è reso familiare ognuno di noi e tutta l’umanità può solo progredire.
Il Bambino Gesù risveglia le nostre domande più vere, quelle che normalmente lasciamo seppellite sotto la distrazione, e accende in noi la speranza. La sua umiltà ci conquista e diventa richiesta di semplicità. Chi di noi non sente, nella propria vita, il bisogno di una grande semplificazione? In tutti c’è l’urgenza di tornare all’essenziale, a ciò che conta davvero e ci fa respirare, liberandoci sia dall’affanno di un consumismo malaugurante (si dovrebbe usare la parola osceno, che ha proprio questo significato), sia da stili affettivi complicati, ambigui, spesso menzogneri, che fanno soffrire l’altro, non fanno vivere un amore che libera, ma spingono verso un amore che lega.
Dio, in Gesù Bambino, non solo “si è abbreviato”, fino a rendersi “visibile agli occhi, palpabile alle mani, portabile sulle spalle”, ma ha dato la vita per noi per coinvolgerci nella dinamica della Sua donazione.
È solo per la carità sconfinata di Dio nei nostri confronti che noi possiamo sperare di diventare capaci di «tessere reti di carità», come dice il Papa nella Caritas in veritate. E la carità ha un orizzonte di 360 gradi. Si estende dalla doverosa condivisione con coloro che sono nell’indigenza e nella miseria (il cui numero, in questo tempo di crisi, è in continua, preoccupante crescita) alla difesa del primato irrinunciabile degli uomini del lavoro dignitosamente concepito, fino alla passione per l’edificazione del bene comune nell’impegno politico diretto. Instancabile nel far prevalere, sempre e comunque, le ragioni della philìa (amicizia civica) su quelle del conflitto.
Natale è la festa dell’innocenza e perciò della pace. Il Dio nato a Betlemme è la pace stessa. Ce lo insegnano i più piccoli (non solo di età), i malati, i sofferenti con il loro abbandono fiducioso che si aspetta tutto non da ciò che possiedono, ma da ciò che ricevono. La testimonianza di Gesù, l’Innocente per eccellenza, imitata dai martiri, è offerta totale di sé («svuotò se stesso», dice Paolo) a noi uomini affinché vivendo relazioni buone favoriamo in tutti la pratica del bene.
L’Onnipotente che si è fatto Bambino ha la forza di dare pienezza all’umano: «La Sua natività purificò la nostra» – scrive San Bernardo – «la Sua vita ammaestrò la nostra, La Sua morte distrusse la morte nostra». Dalla traboccante gratitudine per questo dono sgorga l’audacia della nostra speranza. Da qui attingiamo l’energia per stare dentro ogni rapporto senza accettarne la scontatezza, senza rendere il pregiudizio cronico. Egli ci apre alla possibilità di pacificare anche i rapporti più conflittuali. Fa fiorire l’affezione verso noi stessi e verso tutti i nostri fratelli uomini. Nel Natale Gesù ci visita per donarci la vita di Dio!