Vika aveva ritrovato il sorriso. In pochi giorni nel suo sguardo triste si era inaspettatamente accesa una luce di speranza. Vika non aveva mai conosciuto la felicità e quando alcuni anni fa aveva incontrato per la prima volta persone veramente preoccupate per la sua vita all’improvviso tutto era cambiato. Finalmente qualcuno di cui fidarsi. Qualcuno cui poter aprire il cuore e rivelare l’orrore che le toglieva il respiro.

Non sapeva Vika con quel gesto semplice, fidandosi, di scatenare uno dei più intricati gineprai della nostra più recente storia giudiziaria, una vicenda paradossale in cui lo Stato si è fatto forte con i deboli e debole con i forti e le istituzioni da garanti della sua felicità si sono trasformate in padroni del suo destino. E proprio a quei genitori “provvisori” le nostre “istituzioni” riservavano l’oltraggio più duro: l’onta di un processo per averla voluta sottrarre con la forza della disperazione alle sevizie e alla mancanza di affetto

L’assoluzione che solo parzialmente sana il torto che a questi “umili manzoniani” la storia dei potenti ha riservato è il compimento della vicenda giudiziaria, ma la partita che mette in premio la felicità di Vika non è ancora finita.

Dopo anni di battaglie in cui di fronte all’intero Paese avevano dovuto giustificare il loro atto e le loro posizioni, il tribunale la scorsa settimana ha assolto con formula ampia Alessandro Giusto e Maria Chiara Bornacin per la vicenda che tutti ricorderete della bambina bielorussa Vika-Maria.

Assolti “perché il fatto non costituisce reato” e perché è stato loro riconosciuto di aver “agito in stato di necessità”. Il pm aveva chiesto otto mesi, ma il tribunale di Genova ha affermato che quello che avevano fatto i genitori adottivi, i nonni, il parroco di Cogoleto e una comunità di religiosi in Valle d’Aosta, cioè cercare di impedire che la bambina tornasse nell’orfanotrofio dove per anni aveva subito ignobili abusi, non è una colpa.

Erano i signori Giusto, i nonni, il parroco ad avere ragione, ma intanto in una notte di fine estate di tre anni fa, la bambina di 11 anni era stata prelevata da una macchina della giustizia quanto mai solerte al rispondere alle sollecitazioni di una dittatura e riportata in Bielorussia. E non solo. La giustizia italiana ha perseguito i coniugi Giusto e i loro “complici” per molto tempo e un gesto d’amore è stato additato come atto di egoismo e come sfida alla legge.

L’assoluzione rappresenta una vittoria per i nostri ideali di libertà e democrazia e ha dato ragione a quei pericolosi fuorilegge che stavano dalla parte di una bambina. Insomma, ci può essere una legge che vale più di ogni altra. Quella che ci fa riconoscere e servire gli inalienabili diritti della persona umana. Ora qualcuno dovrebbe, però, spiegarlo a Vika.

L’atto dei coniugi Giusto ha risvegliato l’opinione pubblica sul tema dei diritti violati dei minori. Come la donna che davanti al giudizio di Salomone rinuncia a dare affetto al proprio figlio piuttosto che vederlo dilaniato dalla spada, così anche i coniugi Giusto hanno cercato di difendere la felicità della bambina che era stata data loro in affidamento pur essendo consapevoli con quell’atto di annullare la possibilità di ottenerne l’adozione.

Ma c’è di più. La vicenda di Vika ci racconta, infatti, di una situazione grave e complessa. Il rapporto che ho instaurato in questi anni di attività politica alla vicepresidenza del Parlamento con il capo dell’opposizione in Bielorussia, Alexander Milinkevic e con le numerose missioni che ho portato a termine nell’area balcanica e asiatica mi hanno spinto, nel corso della legislatura, a denunciare con vigore la mancanza di libertà in Bielorussia.

Oltre al caso personale che riguarda la vicenda della piccola Vika e dei coniugi Giusto, non tutti sanno che la Bielorussia risulta essere lo Stato nei confronti del quale le istituzioni europee hanno più volte denunciato le violazioni sistematiche dei diritti umani. Dal 2004 il Parlamento europeo ha votato ben 46 risoluzioni contro lo Stato ex-sovietico.

Negli ultimi anni diversi partiti politici, 22 giornali indipendenti, più di 50 Ong di vario livello e orientamento politico e diversi istituti d’istruzione sono stati chiusi “per motivi tecnici” e altri fatti accaduti tra il 2006 e il 2007 dimostrano che la persecuzione non si limita a colpire gli oppositori politici.

In Bielorussia è inesistente anche una delle libertà più importanti, la libertà di educazione. Nell’agosto del 2004 la Corte suprema di Bielorussia ha respinto il ricorso dell’Università europea di studi umanistici a Minsk riguardante la decisione del Ministro dell’Educazione di annullare la licenza per l’attività didattica.

Il Consiglio dei ministri europeo dichiarò come una chiara violazione del principio di libertà accademica e in conflitto con le pratiche accettate nell’istruzione superiore europea la persecuzione amministrativa e la confisca della licenza all’Università europea di studi umanistici a Minsk. Questa azione delle autorità bielorusse, infatti, dimostra la volontà di uniformare in modo sempre più evidente il sistema educativo nel Paese sopprimendo la libertà di pensiero e di ricerca.

In Bielorussia il regime continua a preoccupare fortemente le istituzioni europee le quali lanciano pesanti diffide nei suoi confronti, consapevoli del fatto che non potrà essere effettuata una seria e leale opposizione al governo, il quale, reprime e rende inoffensivo chiunque cerchi strade alternative alle politiche del regime. Molti sono i “reati di coscienza”: intellettuali, giornalisti, attivisti dei partiti e dei movimenti giovanili d’opposizione messi in galera solo per aver osato criticare pubblicamente il premier Lukaschenko.

 

È stato anche indetto un referendum farsa per legittimare la decisione di cambiare la Costituzione. Anche l’Ocse ha bollato le elezioni come “seriamente viziate”, mentre una delegazione di eurodeputati si è vista sbarrare l’accesso in Bielorussia prima del voto.

 

Ma nonostante i soprusi ci sono uomini di buona volontà che continuano con forza la loro opposizione, sostenendo con coraggio la volontà che la Bielorussia sia più vicina all’Europa e meno sotto l’influenza russa.

 

Ma cosa c’entra questo con le vicissitudini di una bambina? Forse che gli abusi patiti in orfanotrofio c’entrano qualcosa con il fatto che il Paese in cui viveva era più simile a una dittatura che a uno Stato di diritto? Se penso a come Vika-Maria è stata trattata dal nostro Stato, nessuna risposta è scontata: e allora meglio concentrare la nostra attenzione su coloro che hanno avuto il coraggio di pensare a lei prima di ogni altra convenienza.

Soffermare la nostra attenzione sui coniugi Giusto, sul parroco di Cogoleto, sui tanti che in quel piccolo Paese della Liguria non hanno mai smesso di credere nella verità e nell’amore. Perché dove ci sono uomini liberi è più facile difendere la democrazia.