Il giorno dopo l’assegnazione dei premi Oscar per il 2009 è stato nominato il nuovo arcivescovo di New York. Si chiama Timothy Dolan e arriva da Milwaukee, Wisconsin, dove è stato arcivescovo negli ultimi anni.

Nonostante non abbia avuto in precedenza contatti con l’arcidiocesi di New York, è di ascendenza irlandese e, come minimo, sarà in grado di capire la mentalità che ha retto la Chiesa a New York praticamente per tutta la sua storia (c’è stato un solo vescovo di New York non irlandese). La sua storia personale, cosmopolita e intellettuale, e il suo carattere simpatico e accomodante fanno pensare che sarà ben accolto dai newyorchesi a tutti i livelli della vita cittadina, pur essendo un deciso sostenitore, e senza alcuna ambiguità, della dottrina cattolica.

L’arcivescovo Dolan è relativamente giovane (ha 59 anni) e così, ferme restando le cose, dovrà guidare la Chiesa a New York in un periodo molto difficile, molto diverso dai giorni del Cardinale O’Connor, al quale è stato paragonato.

Non c’entra la crisi finanziaria, perché il Cardinale Egan (l’arcivescovo che regge la diocesi fino all’insediamento di Dolan il 15 aprile) lascia la Chiesa locale in una situazione finanziaria molto forte. Il problema che deve affrontare il nuovo arcivescovo è una guerra culturale, in cui la Chiesa cattolica viene sempre più vista come il più grande ostacolo al programma secolarista.

L’elezione del presidente Obama ha dimostrato ai secolaristi che l’opposizione dei fondamentalisti cristiani può essere superata, la religiosità degli americani può essere addomesticata e si può gestire la presenza islamica legandola alla minaccia terroristica. Solo la Chiesa cattolica è rimasta come un ostacolo significativo all’ideologia secolarista.

Qui è il legame con le cerimonie degli Oscar. La maggioranza degli americani non prende molto sul serio le opinioni politiche dominanti a Hollywood, ma è molto più influenzata di quanto pensi dalla cultura delle celebrità e i timori per la crisi finanziaria in corso impediscono di vedere i cambiamenti culturali portati avanti attraverso l’industria dell’intrattenimento.

Il programma degli Oscar è stata una chiara, forte e attraente (per l’immagine trasmessa di difesa dei diritti civili) promozione della legalizzazione del matrimonio tra omosessuali. Tuttavia, le proteste sono state poche e in gran parte ignorate dai media, come delirio di fondamentalisti spaventati dalla modernità e slegato dai veri problemi del momento (economia, servizio sanitario, sviluppo tecnologico, ecc).

La stessa domenica degli Oscar, il giorno prima della nomina di Dolan, il New York Times ha pubblicato due lunghi editoriali proponendo un compromesso nelle controversie su aborto e matrimonio omosessuale e insistendo sulla necessità di por termine alle guerre culturali, così da poter affrontare i problemi reali del paese.

Questo tipo di compromesso è in linea con le posizioni di quegli eminenti politici cattolici secondo i quali la loro fede cattolica è compatibile con le loro opinioni pro-choice, come il vicepresidente Joe Biden, la speaker della Camera Nancy Pelosi e il prossimo nuovo ministro della salute, almeno così sembra. Il presidente Obama nomina e accoglie ben volentieri costoro, ma non pretende di essere cattolico.

Questa è la situazione di fronte al nuovo arcivescovo di New York. Non sorprende che nella sua prima allocuzione pubblica abbia chiesto di pregare per lui.