È iniziata la corsa contro il tempo per salvare la vita di Eluana Englaro. L’ha iniziata questo governo che, sin dal primo momento, ha scelto di riaffermare il più importante tra i diritti: il diritto alla vita. Il decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri è un segnale chiaro della posizione sulla vicenda. Nonostante il diniego del Presidente Napolitano, si procede a predisporre un disegno di legge per affermare che Eluana non può essere fatta morire. L’impegno del presidente Silvio Berlusconi è stato determinante: con un intervento immediato ha dimostrato di voler fare il possibile perché in questo Paese non venga eseguita un’atroce sentenza che, qualora venisse portata a termine, aprirebbe voragini giuridiche e ambiguità legali. Con questo spirito con Roberto Formigoni, Francesco Cossiga, Mario Giordano e Vittorio Feltri abbiamo scritto la lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che contiene l’appello in favore di Eluana. Un appello stilato e sottoscritto da chi, consapevole che una ferita così grave non può essere inflitta a questo Paese, ha deciso di far sentire il proprio personale rifiuto rispetto a questo disegno di morte e che invitiamo, dunque, a firmare.



Si cerca oggi di introdurre ciò che dal 1999 al 2006 era stato negato: tutti i ricorsi di Beppino Englaro, respinti come inammissibili, ora sono stati accolti. Soltanto ora la pretesa del padre di fare morire la figlia è stata presa in considerazione e, stravolgendo la nostra Costituzione, quello alla morte è diventato un diritto. Eluana va a morire nel modo più atroce, privandola dell’alimentazione. L’acqua e il cibo le sono stati negati per sentenza. Questa donna non sarà la prima Terry Schiavo italiana: bisogna continuare a tentare tutte le strade legislative, giuridiche e mediche per cercare di proteggere chi non è in grado di farlo autonomamente perché affetto da malattia grave.



Non sembra, allora, un caso che nessuno di noi abbia mai potuto vedere anche una sola immagine di quella ragazza che oggi, diciassette anni dopo l’incidente, è una donna. Si è indotti così a pensare che Eluana sia un corpo privo di vita e di coscienza. Nessuna fotografia, nessun video è mai uscito dalla clinica di Lecco, il luogo in cui le Suore Misericordine hanno vegliato con infinito amore su di lei. Il suo volto è tenuto nascosto dietro quelle mura, perché altrimenti si saprebbe chi è oggi Eluana. Una donna che respira senza l’aiuto di macchinari, che apre gli occhi al levare del sole, che li richiude per il riposo notturno, che ha il ciclo mestruale e che tossisce. Il suo è un corpo che assimila il nutrimento (cibo e acqua). Un corpo che cresce e vive. Il cibo e i liquidi che oggi le sono negati le vengono somministrati col sondino, come accade a migliaia di malati colpiti da diverse patologie (quelle tumorali, ad esempio). A nessuno di loro ci si sognerebbe di negare il nutrimento.



Durante il convegno “Il Caso E in Italia – Eluana, Eutanasia, Eversione” svoltosi sabato scorso all’Università Cattolica di Milano, il centro di bioetica dell’ateneo ha invitato giuristi, personalità politiche e medici proprio con l’intenzione di discutere e svelare le contraddizioni ormai evidenti che questo caso porta con sé. Ed è stata proprio la comunità medica a sottolineare come non sia improprio definire questo progetto di morte – il famigerato “protocollo” – che pende sul capo della donna, un omicidio. In molti, infatti, si domandano perché, se secondo qualcuno Eluana è un corpo privo di vita (qualcuno l’ha addirittura definita “vegetale”), per eseguire il protocollo siano necessari trattamenti sedativi.

Stupiscono anche i commenti di una certa parte politica che chiama ingerenza l’interesse di Benedetto XVI e della Chiesa sulla vicenda. Se lo Stato non tutela il malato, stravolge la giurisprudenza e nega il diritto alla vita, non ha la Chiesa, per missione, il dovere di esprimere il proprio pensiero?

Occorre, allora, raccogliere l’appello del Santo Padre che, invitando tutti all’impegno per evitare una barbarie che una società civile e democratica non può in alcun modo tollerare, ha indicato la strada della preghiera comunitaria «per tutti i malati, specialmente quelli più gravi, che non possono in alcun modo provvedere a se stessi, ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui». Fa bene questo governo a portare avanti l’iter legislativo che è diventato un dovere civile, affinché non si neghino in nome di un’ingannevole pietas l’acqua e il cibo, le uniche “terapie” che per ingiusta sentenza oggi a Udine vengono negate a una donna: Eluana Englaro.